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Vuelta al Huemul: trekking di quattro giorni sul ciglio del Campo de Hielo Sur, Patagonia

di - 27/03/2025

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El Chaltèn dorme ancora quando smonto la tenda dal campeggio in cui sono stanziata, faccio bollire l’acqua per il porridge e via, zaino in spalla verso l’ingresso del Parco. Sui primi chilometri della Vuelta al Huemul, un giro ad anello di quattro giorni nel Parque Nacional Los Glaciares, in Patagonia argentina, si prende quota lentamente. La vista sul Fitz Roy e sul Cerro Torre si regala come in una cartolina, in una giornata chiarissima e senza una nuvola, una fortuna in questi luoghi spessissimo afflitti dal maltempo.

Lo zaino pesa sulle spalle, perché il trekking è da farsi in completa autonomia, per quanto riguarda il dormire (in tenda) e il cucinare. L’acqua è invece offerta in abbondanza dalle tante lingue del Campo de Hielo Sur, che fondono nel periodo estivo. 

Nel bosco, appena prima di entrare nella valle del Rio Tunel, incontro una ragazza tedesca che sarà la mia compagna di viaggio per tutto il trekking. Divideremo l’itinerario su tre giorni invece che quattro, per aggiungere un po’ di chilometri alle gambe e un po’ più di sale a un percorso già impegnativo: per questo quando arriviamo al primo accampamento, all’ora di pranzo, passiamo oltre dopo una breve sosta sulle rive della Laguna Toro.

Mentre si sale verso il ghiacciaio i segni del suo passaggio, e del suo arretramento, sono più che evidenti: ci arrampichiamo su rocce montonate e piene di strie glaciali, fino ad arrivare al torrente di fusione. Qui siamo costrette a tirare fuori imbrago e longes, per passare il fiume ingrossato del pomeriggio con una teleferica con cavo d’acciaio sopra una gola stretta un paio di metri, in cui l’acqua romba a pochi metri da noi, schizzandoci i piedi. 

Tra i ghiacci

Passata questa prova, il percorso inizia a dare prova della sua fama in merito ai paesaggi: da ogni parte escono fuori cime con le creste merlettate di bianco, e con i loro ghiacciai che scendono giù fino a noi, solidi nella parte superiore e sempre più sporchi di detrito e crepacciati in quella inferiore. Sono proprio questi i panorami che immaginavo pensando alla Patagonia, leggendo di questo luogo così mitico e lontanissimo, in cui sembra impossibile di essere capitata davvero.

Al di là del ghiacciaio, da attraversare schivando i crepacci o saltellando sui ghiaioni della morena, perdendo una manciata di volte il sentiero, dovrebbe trovarsi il primo posto di campeggio del trekking. In effetti, passiamo un colle e vediamo proprio quello che speravo: le piazzoline contornate da muretti di sassi – solo dal lato da cui arriva il celebre vento patagonico, con vista sul ghiacciaio e un piccolo torrentello che ci garantirà acqua per cucinare. Siamo le prime ad arrivare, ma nelle prossime ore saranno montate altre cinque o sei tende, mentre noi siamo impegnate nelle operazioni che precedono immediatamente la notte. Fare acqua, bollire qualche minestrina disidratata, stringerci nel piumino a guardare l’avvicinarsi della sera sul ghiacciaio. 

Campo de Hielo Sur

La notte romba il suo vento sulle pareti della tenda, la scuote e inizio a dubitare della perizia con cui ho legato i tiranti ai sassi. Ma questi rimangono sorprendentemente attaccati al suolo, e il secondo giorno sulle Vuelta al Huemul inizia con una salita spacca-gambe verso il Paso del Viento, il cui nome è tutto un programma. Quando arrivo in cima sono senza fiato, non so se per la salita o per quello che sto vedendo: il Campo de Hielo Sur in tutta la sua grandezza, un mare di ghiaccio che riempie le valli, da cui escono solo le vette, anch’esse innevate.

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Il bianco è striato di grigio e di nero, rocce di qualsiasi dimensione che i milioni di metri cubi di ghiaccio muovono come un nastro trasportatore mentre si spostano verso il basso. Il vento sferzante conta i secondi in cui posso godermi il panorama, ma i prossimi venti chilometri saranno tutti a costeggiare il ghiacciaio, e avrò modo di osservarlo da più angolature. Il sentiero corre appena a lato delle morene laterali, vi si nasconde dietro nei punti più bassi ma poi risale subito ad aprire la vista su un nuovo pezzettino di ghiaccio. Qui si trova l’unico bivacco della Vuelta al Huemul, il Refugio Paso del Viento, una minuscola casetta che immagino essere piuttosto utile nei frequenti giorni di maltempo. 

Le gambe sono già piuttosto provate ma continuiamo questa cavalcata sul ciglio del Campo de Hielo, fino ad arrivare al punto in cui il ghiacciaio (o almeno questa sua terminazione) muore in un laghetto dall’acqua grigiastra. Ogni manciata di minuti un iceberg si stacca e si unisce agli altri che galleggiano, sbatte sull’altra riva e col passare dei giorni, dei mesi, si scioglie. I condor volano sopra le nostre teste, vicinissimi, così grandi da oscurare per un attimo il sole e proiettare la loro ombra sul sentiero. Un’ultima salita fino al passo Huemul ed è tempo di salutare il Campo de Hielo: ci giriamo un’ultima volta a guardarlo, chissà per quanti anni ancora il terzo ghiacciaio terrestre per estensione starà qui a trascinare verso il basso il detrito che cade dalle cime e a immagazzinare l’acqua dolce del mondo. 

Il lago e la steppa patagonica

Dall’altra parte del passo c’è il Lago Viedma, una gigantesca distesa d’acqua azzurra. Scendiamo a capofitto in mezzo al bosco, fino ad arrivare a una delle prime spiaggette, esauste dopo dodici ore di cammino. Sulla playa di sassi c’è un po’ di spazio per montare le tende, e condividiamo una zuppa e un pacchetto di biscotti al cioccolato mentre ascoltiamo gli iceberg rivoltarsi e spaccarsi nell’acqua del lago di fronte a noi. In lontananza si vede la parete del fronte del ghiacciaio: un muro frastagliato, che casca a pezzi e li sparge nell’acqua, alla deriva per chilometri. 

Gli iceberg sono sempre meno frequenti allontanandosi dal fronte, mentre costeggiamo il lago Viedma l’indomani. La temperatura sale, ogni chilometro un grado in più, e siamo ormai lontani dalla magia bianca e azzurra del Campo de Hielo. Si vede già il deserto, la steppa gialla della Patagonia argentina popolata da guanachi e nandù, con l’erba secca di questo versante delle Ande. È tempo di tirare fuori i ferri del mestiere e attaccarsi al cavo per attraversare di nuovo il fiume, qualche chilometro più in basso rispetto all’andata. Poi mi stacco dalla teleferica, mi volto e mi immagino ancora in alto, dentro quella valle chiusa, incastrata tra i ghiacciai e le vette, a voler indovinare la fine di uno dei giganteschi cuori ghiacciati patagonici.

Livornese di nascita ma montanara d’adozione, studia Geologia e sogna di fare la scrittrice. Adora raccontare storie e qualsiasi tipo di avventura, inoltre non sa stare ferma: è facile trovarla su qualche treno diretto verso le Alpi con uno zaino fuori misura da cui penzolano scarpette o piccozze (a seconda della stagione).