Le immagini e le parole di Dino Bonelli non hanno mai fine. Mosso da una passione verso il particolare incondizionata, il fotografo piemontese ci regala l’ennesima magia: un viaggio nel Sud Sudan con un gruppo di amici, raccontato e fotogafato come pochi sanno fare.
Di Dino Bonelli – foto: Dino Bonelli e Alessandro Iacomini
La vita è un viaggio…
Secoli fa, l’astronomo, matematico e poeta persiano Omar Khayyam disse: “La vita è un viaggio e chi viaggia vive due volte”. Da allora nulla è cambiato, anzi. Io amo viaggiare e viaggiando sento di sfamare la mia insaziabile curiosità per il mondo a me sconosciuto, così facendo avverto di vivere intensamente. Allontanandomi da casa, dalle mie abitudini, dalla mia zona di comfort, magari immergendomi anche in ambienti ostili e/o esotici, mi spingo a esercitare tutti i sensi e ad affinare percezioni altrimenti trascurate, e la mia apertura mentale verso il creato diventa assoluta.

Un viaggio nel viaggio
La recente esperienza in Sud Sudan, che con la sua indipendenza del 2011 è il Paese più giovane al mondo, tra remote tribù indigene che vivono ancora nella primordialità, è stata un viaggio nel viaggio.

“Muoversi in Sud Sudan, specie se si vogliono raggiungere le aree più sperdute dell’estremo sud, dove vivono le tribù più incontaminate dal normale evolversi del progresso, significa mettere in conto molte ore di macchina, su strade sterrate decisamente brutte e conseguentemente lente, con ponti crollati e guadi difficili da oltrepassare.“

Ogni tanto, quando il tempo lo permette, chi ne ha voglia o ne sente l’esigenza per sgranchire le gambe, atrofizzate dal lungo viaggio, scende dal fuoristrada e si fa qualche chilometro di corsa. La strada rossa e argillosa su cui facciamo presa con le nostre scarpette da trail running, la stessa su cui si muovono le ruote gommate, è completamente immersa nella natura e totalmente ovattata in un silenzio irreale. Nel mezzo di quello che noi chiamiamo nulla, ogni tanto sbuca qualche persona con cui proviamo, inutilmente, a interagire.

Tra tramonto e alba…
Arrivati a destinazione, ovvero nei pressi di una qualche tribù, si monta il campo tendato e teoricamente ci sarebbe anche il tempo per un’altra corsetta, ma di solito la rimandiamo alle prime luci dell’alba, prima della colazione, quando le temperature sono relativamente fresche e in giro sembra non esserci ancora nessuno.

Africa
Sembra, infatti, ma la vita in Africa inizia sempre prima del sorgere del sole e correndo, tra sentieri erbosi e stradine disfatte, s’incontrano già le donne che vanno a fare il bucato, i pastori in giro con le loro bestie, e tantissimi bambini che hanno nella savana la loro unica scuola di vita.

La tribù dei Larim
Nei pressi di alcuni villaggi della tribù dei Larim, verso il giro di boa della nostra corsa mattutina, incrociamo un paio di donne e un folto gruppo di bambini con cui, come al solito, proviamo a interagire a gesti, visto che le parole, nostre e loro, sono solo incomprensibili suoni persi nell’aria. Ma i gesti funzionano e quando Roby e Mauri invitano questi bambini a correre con noi, in un nonnulla li abbiamo tutti intorno, a correre scalzi e felici.

Felicità
Felici di cosa, non riesco a spiegarmelo, forse solo di aver condiviso qualche momento con uomini diversi da loro. Strada facendo il nostro gruppo di piccoli runner aumenta agglomerando altri singoli individui incrociati sul percorso. Correre tra loro, tra la loro agilità e spensieratezza, ha un valore umano che sovrasta decisamente la nostra performance sportiva.

Si va oltre, si corre, si canta e si è felici. Rientrando al campo tendato, ci accorgiamo che l’intera tribù, fatta prioritariamente da donne e altri bambini, ci è venuta a fare visita e, benché stupiti del nostro correre, inutile ai loro occhi, ci attornia incuriosita.

Le donne: Larim, Lotuko, Toposa
Le donne Larim, come anche quelle dei Lotuko e Toposa, tutte tribù nemiche tra loro, sono fondamentalmente molto alte e belle, hanno pelle vellutata, sguardi profondi e dentature perfette.

“Poi però, per loro atavica usanza, si scarnificano braccia, corpo e talvolta anche il viso, per decorare la pelle con vistose cicatrici in rilievo, che evidentemente a loro piacciono.”

Segni distintivi, come anche la mancanza dei due denti incisivi inferiori che qualcuna si fa estrarre per un altro inconcepibile culto di bellezza. Peculiarità che sfoggiano con orgoglio, tanto quanto i loro coloratissimi ornamenti di piume e perline.






Gli uomini
Gli uomini, nettamente in minoranza numerica, sono meno appariscenti e tendono sempre a restare più appartati. Ci guardano da lontano, preferiscono non farsi fotografare, hanno tutti un bastone o il machete in mano, e molti di loro sono anche armati di fucile. Armi vecchie e logore, ereditate dalle tante guerre civili che negli anni passati hanno massacrato l’intero Paese.

Il valore del bestiame
Per prendere moglie i giovani di tutte queste tribù devono donare alla famiglia della prescelta il valore, espresso in numero di vacche, che essa ha attribuito alla figlia. Di solito dalle 30 alle 100 mucche, numero che il pretendente il più delle volte non ha. Allora questo, coadiuvato da amici, organizza una spedizione per rubare il bestiame a una tribù nemica. Le mandrie però, sapendo di queste eventualità, sono sempre protette da uomini armati, quindi lo scontro, con relativi feriti e morti, è inevitabile. Se il furto va a buon fine, la tribù derubata organizza una sua missione per recuperare il bestiame e punire l’insolenza dei rivali. In tutti i casi, a ogni scontro si contano diverse vittime, che ovviamente sono sempre uomini, o guerrieri come amano definirsi loro, ed è per questo che la popolazione maschile, negli anni, si è decimata e in giro si ha l’impressione che ci siano solo donne e bambini.

I Mundari
I Mundari sono una tribù che vive in capanne di stracci a nord di Juba, la trafficata, sporca e caotica capitale del Sud Sudan, e sono completamente dediti alla pastorizia. La cura che hanno per le loro mucche dalle corna enormi, che puliscono ogni giorno massaggiandole con la cenere preventivamente preparata con appositi focolai, e la pulizia dei giacigli, fatta a mano dai più giovani, sono emblematiche.

Nell’accampamento
Capitiamo in uno di questi accampamenti di stracci adiacente alle mandrie, la mattina presto, io in casual e con la mia macchina reflex in mano, mentre Mauri e Roby alla fine della solita corsetta mattutina. La luce è ancora tenue, anche a causa di un cielo completamente grigio, e le temperature accettabili. I pochi Mundari presenti sono tutti affaccendati in differenti lavori. I più giovani puliscono quello che per la notte è stato il giaciglio delle vacche, ramazzando gli escrementi con le mani.

Altri, più grandi di età, puliscono alcune bestie con la cenere, qualcuno sposta i paletti dove legano parte degli armenti, i più vecchi oziano sdraiati per terra in attesa che la mandria sia pronta per essere portata in pascoli spersi nella savana. Ma tra i riti mattutini ci sono anche quelli dell’igiene personale. Qualche ragazzo si friziona i capelli con la cenere mista a del terriccio non ben identificato, poi ogni tanto si sente un urlo “peee” e si vede un giovane che corre sotto la coda rialzata di una vacca che urina, per fare la doccia, talvolta pure con un dito che strofina sui denti per non lasciare nulla al caso. Gesti semplici e abitudinari, come anche bere il latte direttamente dalle mammelle delle vacche, gesti che a noi, viaggiatori sbigottiti, sembrano di un altro mondo, o per lo meno di un’altra era, un’era preistorica che nel bel mezzo dell’Africa continua a sussistere.
