Strava aumenta le limitazioni per la versione free, con la volontà di migliorare la app a pagamento. Salvaguardia delle privacy (almeno all’apparenza) senza sommergerci di pubblicità e senza vendere i nostri dati a terze parti. Qui alcuni dettagli ufficiali.
Strava comunque un riferimento
Partendo dal presupposto che non vanno sacrificati i meriti di Strava, una su tutte quella di essere la prima social cyclist community, è pur vero che esiste un mondo di app, altrettanto valide, anzi, forse di più. Il leader del mercato dell’analisi dei dati e delle prestazioni ha avuto il merito di trasformare questo mondo, diventando leader incontrastato e facendo credere a molti – ma non a tutti, per fortuna – che se l’attività non è caricata sui server di Strava, allora non esiste e non è mai successa. Proprio come recita il claim.

Cosa vogliamo?
Strava è prima di tutto uno strumento social e di condivisione, o per lo meno lo è diventato. Per molti è stato e lo è tutt’ora, un raccoglitore di dati personali, dal volume delle uscite, fino ad arrivare al modo più semplice di quantificare i miglioramenti (o peggioramenti). Ma non esiste solo questa app, che è diventata con il tempo una sorta di “zona comfort” un po’ per tutti. Comoda e facilmente raggiungibile, agganciabile dalla stragrande maggioranza dei devices e delle piattaforme di analisi presenti sul mercato. Ora le sue limitazioni potrebbero aprirci un nuovo mondo, scoprendo che esiste molto altro, a tratti più valido ed utile, con formule free (non a pagamento), ma anche con soluzioni in abbonamento che offrono una serie di plus.

Capire cosa ci serve
Ci serve programmare un itinerario? Vogliamo confrontare le nostre prestazioni con quelle altrui? Abbiamo la necessità di avere tutto a portata di polpastrello? O ancora, usiamo device di marchi diversi e dobbiamo far convergere tutte le attività su una sola piattaforma? Semplicemente, ci piace spiare cosa fanno gli altri quando si allenano? Comprendere al meglio le nostre necessità per sfruttare una app al massimo delle sue funzioni e potenzialità. Il telefonino è diventata la nostra carta d’identità e con lui ci siamo abituati a raggiungere qualsiasi tipo di cosa in modo facile e veloce. Le app sono parte fondamentale del nostro futuro.
Alcuni esempi
Komoot (di recente pubblicazione), ad esempio, una app che è sempre più utilizzata per programmare viaggi road e off road, che offre una serie di opportunità anche in termini di collegamenti turistici. TrainerRoad, per certi versi la più simile a Strava, piuttosto specifica e rivolta ad un pubblico tecnico. Molto usata dagli anglosassoni e in USA, ha già una folta community e una forte connessione con TP (Training Peaks), molto buoni suoi grafici di analisi. Ride with GPS, un’altra app che permette una sguardo da smartphone ma anche da dispositivi come pc e tablet. Nasce come strumento di supporto alla navigazione gps ed è a tutti gli effetti un navigatore (anche piuttosto preciso) come quello dell’auto. Utilizza funzioni vocali e monitora in tempo reale l’uscita. A Training Tracker, una app che nasce per i telefonini e che nel momento del download offre la possibilità di scaricare i plug Ant+ nelle diverse forme (funziona anche con bluetooth). Può essere associata ad un device, oppure utilizzata direttamente con il telefono (con sensori attivati). Utilizza funzioni mappali GoogleMaps con buona precisione. Questi sono solo alcuni esempi da prendere in considerazione, da valutare e rivolti a chi non ha mai esplorato questo mondo se non al di fuori di Strava.
Ma abbiamo davvero bisogno di Strava?
Chissà quanti saranno gli iscritti che decideranno di pagare un abbonamento per un servizio che fino a quel momento avevano gratis, e che si trova replicato in modo forse migliore su altre piattaforme molto diffuse (pensiamo a Garmin Connect). Per chi già era iscritto, e pagava per l’analisi delle proprie performance atletiche, non è un problema. Per tutti gli altri sì. A questo punto, come avrebbe detto il buon Lubrano, la domanda sorge spontanea: abbiamo davvero bisogno di Strava per guidare la nostra passione e attività sportiva?
Senza dimenticare
Ovviamente non dimentichiamo quelle strettamente legate ai dispositivi, Garmin, Bryton Wahoo, ma anche Polar, app che oltre a gestire i dati e le connessioni con terze parti, hanno il compito di filtrare, aggiornare e ripulire il dispositivo.

Ma torniamo al nostro caro e amato Strava
Ma veramente qualcuno di voi ha mai pensato, per sé e per gli altri, che si potesse vivere senza guadagnare?
Questo non vale solo nel mondo delle app e dei social, ma anche e soprattutto nella vita di tutti i giorni. Pensate solo a una cosa, Strava ha circa 200 dipendenti, e in qualche modo deve farli vivere. Qui si inserisce il dilemma di tutto quello che ruota intorno al fantasmagorico mondo di Internet: meglio una pubblicità che compare fastidiosamente a caso, o ancora cedere i nostri dati dicendo addio a buona parte della nostra privacy (le due cose vanno sempre più spesso a braccetto, con inserzioni personalizzate), o pagare per un servizio?
Gli iscritti non bastano
Strava, che vi piaccia o meno, ha deciso. Il faro che guida l’attività di molti sportivi, soprattutto ciclisti e runner, ha deciso di provare una nuova strada, almeno per sé: cercare di trasformare una parte degli oltre 50 milioni di utenti in tutto il mondo – CINQUANTA MILIONI!!! – in una fonte reale di entrate per sostenere il proprio servizio e, auspicabilmente, ampliarlo e migliorarlo. Ma gli iscritti “free” non bastano, così l’azienda USA presenta il conto. La piattaforma diventa “freemium”, un (brutto) neologismo inglese che sta a significare una cosa: il servizio base è gratuito, ma la maggior parte delle funzioni sono a pagamento (al costo di un paio di barrette al mese, dicono loro).

Le funzioni Premium hanno fatto diventare Strava la app TOP
Peccato che le funzioni ora “premium” siano quelle più interessanti, che hanno aiutato Strava a diventare l’app numero uno a livello globale. Ma è giusto così, non è una Onlus che fa volontariato. Chi ha creato e sviluppato questa religione neopagana non solo deve ripagare i costi ma anche generare profitti.
a cura della redazione tecnica, con il contributo di Cristiano Guarco, Davide Sanzogni, foto redazione tecnica.