A tutti noi piace pensare di essere, in larga misura, padroni del nostro destino. Le decisioni che prendiamo ogni giorno ci spingono verso un obiettivo finale.
Di tanto in tanto, però, la vita sembra farci partire per la tangente e finiamo per imboccare un’altra strada. La spinta può essere minima, ma gli effetti possono essere drammatici.
Anche la mountain bike sembra amplificare questi minuscoli mutamenti, con le cose più piccole che hanno un grande effetto.
Se si esagera con le correzioni si finisce in una siepe, ma chiunque abbia guidato una bicicletta con una serie sterzo rigida o grippata può testimoniare che non essere in grado di guidare è drammatico quanto lo è l’esatto opposto.
Di solito questi micro momenti dell’esistenza e dell’andare in bicicletta passano inosservati. Scegliere una variante piuttosto che un’altra al bivio, o pedalare al mattino rispetto al pomeriggio. Ogni decisione influisce sulle scelte successive. Ma questa è la vita.
Di solito si tratta di situazioni in cui il fattore tempo, la luce del giorno o il meteo sono preziosi e qualsiasi cosa facciate ha una conseguenza diretta su ciò che accadrà in seguito.
Penso alla foratura che si verifica nel tardo pomeriggio su una discesa lontana per prendere l’ultima seggiovia della giornata, sul lato sbagliato della montagna. Tutti scattano sull’attenti per aiutare a riparare la gomma con il minimo sforzo: un amico prende la camera d’aria o il kit di riparazione tubeless, un altro prende la pompa da un terzo compagno di pedalata.
Ma si rompe la testa della valvola nella pompetta sbagliata, scatenando di nuovo il panico mentre il tempo scorre e tutti cercano nuove camere d’aria. Ricambi fondamentali che potrebbero essere stati messi in fondo allo zaino mesi fa, quindi chi è sicuro che la propria camera d’aria non sia stato bucata da un attrezzo?
E, nel frattempo, il tempo scorre e il vostro futuro oscilla tra il vittorioso ritorno all’ultimo impianto di risalita o una corsa di mezz’ora in taxi a fondovalle per tornare al B&B, lasciando la tua bici nascosta nel boschetto.
Oppure ci sono momenti, sulle colline dietro casa, in cui ci si trova immersi nella nebbia e di fronte a un bivio. Una strada porta rapidamente alla stufetta del pub e uno strameritato terzo tempo, mentre l’altra porta a un paio d’ore di pedalata in più e forse ad affrontare un saliscendi privo di difficoltà nella luce del tramonto… In quel momento, però, le (nefaste) conseguenze vengono dimenticate e si sceglie l’allettante sentiero che si intravede nella foschia. Almeno è una scelta.
Di solito questo accade quando ci si schianta. Una roccia nascosta o una radice obliqua e ci si trova improvvisamente rivolti nella direzione sbagliata e alla ricerca della maniglia di espulsione d’emergenza. Il tempo qui si è quasi fermato, mentre i vostri sensi acuiti recepiscono ogni stimolo e indizio per uscire con il minor danno possibile per voi e per la vostra bici. Il cervello ripercorre al rallentatore l’ultimo secondo memorizzato, facendo complicati calcoli geometrici della velocità e della traiettoria (e una previsione di dove finirà la bici, se non è più con voi). Poi controlla la probabilità di appigli sugli alberi che sfrecciano davanti a voi mentre vi dirigete verso il ciglio del sentiero.
Gli occhi assorbono tutte le informazioni: il terreno è duro (male) o bagnato e scivoloso (male anche questo)? Riuscite a vedere qualcosa oltre il bordo che si avvicina? Sono i duri rami degli alberi o i più morbidi e accoglienti arbusti, che si piegheranno sotto di voi, quelli che si stanno avvicinando? Le vostre orecchie ascoltano: è il vuoto glaciale che vi attende? E infine, i vostri amici stanno ridendo della vostra discesa scomposta?
Perversamente, questo è spesso un buon segno: quando sussultano per lo shock, capite che siete – solo un po’ – nei guai. Ma quando se si sente solo un silenzio di pietra, seguito da passi affrettati, allora sì che la situazione è davvero tragica.
[foto: Red Bull Content Pool]