Come porre fine alla schiavitù delle App
“Aspetta, salgo a rifarlo!
Prendi il mio telefono, inginocchiati lì e scattami una foto quando sono all’apice della curva!”
“Di nuovo? Questa è la quinta volta che ci fermiamo, ci abbiamo messo più di tre ore per un giro che di solito chiudiamo in un’ora e mezza. Dovevo essere a casa un’ora fa!”
“Dai, ancora uno scatto, basterà un attimo!”
Ho strizzato gli occhi verso il sole di mezzogiorno che splendeva a chiazze attraverso i rami nella faggeta, poi di nuovo verso l’assolutamente irrilevante curva dipinta in pennellate nettamente contrastanti di luce e ombra, ho considerato il gruppi di alberi in cui mi era stato chiesto di rimanere, ho dedotto che la foto sarebbe stata tutt’altro che semplice, e mi sono reso conto che questa è la regola quando decido di girare in bici con i ragazzini. Sembra che non riescano a smettere di fare foto o di farsi fotografare da qualcun altro. È così che va di questi tempi. Che ci volete fare!
Tranne che in questo caso la mano che stava spalmando sudore sullo smartphone era attaccata a un adulto con più di 50 anni sul groppone, che fino a qualche anno fa era totalmente ignaro del fatto che la gente comune pubblica foto di se stessa su Internet senza alcuna aspirazione di guadagno o notorietà.
Facebook era qualcosa che sua moglie e i suoi figli usavano come passatempo, ma sembrava coinvolgere tutt’altro che volti o libri. Instagram poteva anche essere il nome di un amico scozzese immaginario. Twitter un covo di ornitologi.
Ma qualcosa è cambiato dentro di lui negli ultimi anni, e ora si preoccupa più dei “like” e dei “follower” che delle leaderboard su Strava (che non è necessariamente un male), cura in modo ossessivo il suo feed su IG e nutre il desiderio di raggiungere lo stato di “influencer” sui social in modo da poter sperare di ottenere sconti su brutti accessori e barrette energetiche dal gusto incommentabile.
È diventato così, trasformato in un’asta da selfie ambulante. È passato allo stato di esibizionista dei social media dal buon biker che era.
Pensavo che ci sarebbe voluto molto tempo per argomentare che:
- la posizione faceva schifo
- la luce faceva schifo
- ha lo stile di un bradipo
- questa stronzata dell’ego stava cominciando a diventare troppo pesante nella tradizionale routine delle uscite in bici
Invece ho sospirato e mi sono incamminato verso il gruppo di faggi.
“Quando vuoi!”
Pedalò furiosamente lungo il sentiero con un rapporto troppo duro, accennò una leggera piega in curva, poi proprio al culmine tirò con decisione la leva freno posteriore spingendo il retrotreno fuori traiettoria. Pigiai il pollice sullo schermo immortalando una lunga sequenza della sua maestosa mancata padronanza dello stile.
Tornò ansimando sul sentiero, prese lo smartphone e fece scorrere le immagini tutto eccitato.
“Dannazione, no! Devi fare meglio di così. Prova a inquadrarmi un po’ più da vicino, così puoi vedere il mio sguardo concentrato, ma non tagliarmi la testa.”
Ma era serio? Abbastanza sicuro che lo fosse, il telefono era di nuovo nella mia mano e lui tornò al punto di partenza.
Questa volta esagerò con i gomiti piegati e si abbassò decisamente sopra il manubrio in modo che sembrasse che stesse andando veloce, fece ancora quella stupida derapata con il posteriore, mentre io scattavo una panoramica per catturare la sua espressione un po’ strabica con la precisione di un professionista dei social.
Scorrendo le immagini, espresse il suo consenso annuendo.
“Amico, hai fatto centro. Ti avevo detto che sarebbe stato figo.”
Finalmente abbiamo proseguito sul trail.
Finalmente… ma cosa? Cosa è andato storto negli ultimi anni?
Quando la nostra cultura ha iniziato ad andare così fuori da binari? Quando siamo stati schiavizzati dalle app?
Come siamo finiti a un punto in cui, indipendentemente dall’età o dalla posizione sociale o dal sistema di credenze, la registrazione delle nostre vite è arrivata a dominare le nostre vite? Quando siamo diventati tutti dipendenti dai nostri smartphone?
Pensate che stia scherzando? Non sto scherzando
Questa cosa dei social media, della tecnologia, dei nostri dispositivi smart indossabili, è una dipendenza, senza alcun dubbio. Un’insidiosa e pervasiva dipendenza, alimentata dal molto basilare bisogno umano di sentirsi approvati, alimentato da piattaforme di socia media che dispensano pepite di auto-importanza e auto-disprezzo in egual misura, sovralimentato da una tecnologia che avrebbe fatto piangere di gioia Jules Verne, e rabbrividire George Orwell dalla paura.
Black Mirror non è più una serie distopica di culto, è pura cronaca.
Con ogni nuovo “mi piace” o follower, i recettori della dopamina sono riempiti da un distillato di benessere con la stessa sicurezza dei topi di laboratorio che spingono il pulsante del formaggio.
L’intero spettacolo compulsivo viene cementato da comportamenti ripetitivi che diventano radicati come tic nervosi. Legati a filo doppio nel meccanismo della dipendenza nello stesso modo in cui i fumatori che cercano di smettere descrivono l’atto di prendere in mano e accendere le sigarette come un rituale inconscio.
Tu lo fai. Io lo faccio. In una certa misura, siamo tutti allattati dalle mammelle degli algoritmi socialmente cuciti su misura, sedotti dai nostri piccoli schermi così luminosi e comodi da tenere in mano.
Ed è qui che mi rendo conto che l’accoppiata riding e social sta cominciando a farmi schifo, a meno che non stia molto attento alle persone con cui giro insieme.
Sono colpevole, lo ammetto, registro i miei giri, scatto foto nei punti panoramici e all’ingresso dei trail, come se la mia memoria fosse improvvisamente diventata così fragile da non ricordare più nulla di tutto questo già domani. Il primo passo è ammettere il problema. Questa parte l’ho capita.
È tempo di tornare a pensare al riding, per il puro, avido, autoindulgente piacere dell’atto. Voglio pedalare e non essere in grado di chiamare casa, o scattare foto, o controllare il mio GPS.
Voglio perdermi, voglio l’incertezza, voglio che i miei ricordi siano abbastanza flessibili da permettere una grossolana esagerazione delle mie imprese alla prossima birrata con gli amici.
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