All’epoca il mondo delle due ruote artigliate a pedali era un territorio vasto, ma oscuro. Avevo pedalato in pochi posti e non avevo molti amici, e nemmeno chilometri nelle gambe. Era tutto nuovo e ogni uscita in bicicletta era al tempo stesso una sfida e un piacere. A ogni gita imparavo nuovi sentieri e nuovi trucchi, mentre iniziavo a colmare le lacune nella mia personale conoscenza dei percorsi locali. Ed era fantastico. Lo è ancora, in effetti.
Rivisitando questo vecchio tracciato, con i suoi ostacoli e le sue curve che un tempo mi divertivano e mi terrorizzavano, non mi ha sorpreso scoprire che ero in grado di percorrerlo a velocità elevata e in tutta tranquillità, dato che la mia bicicletta biammortizzata, con la sua geometria “progressiva” e le sue sospensioni “burrose”, assorbiva le sconnessioni del sentiero prima di fermarsi con grazia grazie ai miei potenti e consistenti freni a disco. Mi ha fatto pensare che non percorrevo quel trail da quando le bici sono diventate davvero performanti, da qualche decennio a questa parte.
Le biciclette sono fantastiche al giorno d’oggi. Su questo siamo tutti d’accordo. Ogni anno porta un miglioramento incrementale rispetto ai modelli dell’anno precedente, anche se questi incrementi si assottigliano di volta in volta. I primi anni del “selvaggio west” della mountain bike consegnavano enormi sviluppi con ogni nuovo modello, mentre gli ingegneri lavoravano su importanti aggiornamenti strutturali, e i responsabili dei prodotti e i tester si impegnavano per migliorare geometria ed ergonomia per i ciclisti.
Penso che si tratti di un punto finito nel tempo, prima del quale la maggior parte delle mountain bike si aggrappava ancora alle proprie radici un po’ raffazzonate e le uscite in bici non erano realmente concluse fino a quando qualcosa non era andato storto con il mezzo di un amico. Tutti dovevano unire le proprie risorse di attrezzi e ricambi per ripararla, altrimenti la vittima avrebbe cominciato una lunga camminata verso casa.
E poi, dopo questo specifico momento fittizio, le uscite in bicicletta riguardavano più il luogo in cui si pedalava e la distanza/velocità percorsa, che la strada fatta prima che la bici dell’amico di turno si rompesse di nuovo.
Ovviamente questo succede ancora, e tutti conosciamo biker che riescono ad arrivare solo a metà di un giro prima che qualcosa imploda sulla loro bici, ma di solito ciò non è dovuto alla mancanza di telai e componenti decenti.
Che ne dite di un quinquennio dopo? Per la precisione il 1996, l’anno del primo oro olimpico di Paola Pezzo? Avevamo già un vasto assortimento di idee su cosa fosse una bicicletta perfetta, ma la maggior parte di esse non ha superato la prova del tempo. Ruote a disco Tioga e forcelle Judy, per esempio? Anche la fine degli anni ’90 e la nascita delle gare di 24 ore non portarono alla perfezione, con la maggior parte delle bici ancora dotate di V-brake, cockpit con attacchi lunghi e manubri dritti e corti, e gomme discutibili. E delle 29 non si sentiva nemmeno parlare.
Forse dovremmo fare un salto in avanti fino a un anno più vicino come, ad esempio, il 2010? Avevamo modelli fighi come Scott Genius, Specialized Epic, Trek Fuel EX, ad esempio: tutte buone bici, ma non erano propriamente nuove, quindi dobbiamo tornare indietro nel tempo.
All’inizio degli anni duemila hanno esordito bici innovative come Rocky Mountain Slayer ma anche la forcella Fox Float. Una sorta di balzo in avanti nel tempo. Sono anche gli anni dei primi sistemi seri per lo standard Tubeless UST, grazie all’impegno di Mavic e di marchi partner come Hutchinson, Michelin e Schwalbe. Senza dimenticare il kit di conversione nastro+sigillante di Stan’s che ha fatto scuola, e il mitico reggisella telescopico Gravity Dropper.
Ma non solo, le bici hanno iniziato a essere dotate di freni a disco di serie, e la maggior parte di noi – almeno quelli che c’erano all’epoca – sa cosa vuole dai propri giocattoli e può contare sul fatto che rimangano integri.
Le cose iniziavano a diversificarsi ma anche e soprattutto a migliorare. Anche se c’erano ancora alcune bici stravaganti, in generale si poteva salire su qualsiasi mountain bike e sapere che si sarebbe arrivati – più o meno indenni – alla fine del percorso.
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[foto apertura: Rocky Mountain Slayer SS MY10 fotografata nel Golfo Dianese]