A cura di Luca Diodato
“Salii su un vecchio treno della linea ferroviaria costruita dai francesi, che collega Tangeri a Marrackech. Fu un viaggio interminabile, con il convoglio che arrancava con fatica nel caldo torrido del deserto. Da lì dovetti proseguire in pullman e, finalmente, arrivai ad Agadir, affacciata sull’Oceano Atlantico, esposta ai venti e alle violente tempeste marine che investono le spiagge di questo luogo magico, creando le favolose onde attese dai surfisti. Mi abbandonai alla sua bellezza respirando a pieni polmoni l’aria salmastra che aveva il potere di farmi stare bene, in sintonia con me stesso e con la natura circostante”.
Avevo voglia di raccontare con queste parole dell’”Eco del deserto” di Bambaren il mio avvicinamento verso la prossima avventura. Spesso Bambaren mi “accompagna” nei miei viaggi. Mi piace come percepisce i luoghi e come li descrive. Mi piace come sente il surf e come racconta la sua passione per le onde. Mi piace come scopre, anche con il surf, se stesso. Mi piace perché spesso, nel raccontarsi, ritrovo in lui sensazioni che sento anche mie. Mi piace quando “disegna” con le parole i suoi incontri; come quello con Amir, il marocchino con il quale entrava in acqua ogni giorno ad Agadir.
Tra qualche giorno prenderà forma il mio prossimo viaggio verso le onde. Verso l’oceano. È passato un bel pezzo di vita dal mio primo viaggio di surf. Durante quel surfcamp percorsi in pullman la strada che taglia dritta dritta un pezzo di deserto. Sì, proprio quella: Marrackech – Agadir. Anzi, io in realtà la percorsi nell’altro senso. Ero stato con Ale per una settimana vicino Agadir e dopo giorni di schiaffi e cadute, ci spostammo verso Marrakech.
Così, rieccomi qua. Verso un altro volo.
Come spesso mi capita di fare all’inzio di un nuovo viaggio di surf, o più semplicemente mentre vado a prendere qualche onda allo spot dietro casa, non smetterò mai di ringraziare Natal. Quel bimbo dai riccioli biondi che mi ha trasmesso questa passione. Quel bimbo che, in un certo senso, mi ha passato il testimone. In qualche modo, io proverò a fare lo stesso; con chi, grazie a me, proverà a cavalcare per la prima volte le onde. Lo farò perché in fondo mi sentirò sempre un po’ in debito verso il surf. Lo farò perché in fondo ho voglia di emozionarmi e regalare emozioni.
Un po’ come è successo con chi mi ha regalato “L’eco del deserto”; facendomi scoprire queste parole. Una persona incontrata in viaggio. A Petit Anse; una spiaggetta delle Seychelles tra foresta e oceano. Una persona che ha poi “incontrato” il surf grazie a me. Attratta dalle sensazioni che il contatto con le onde può regalare; dalle sensazioni che mi piace raccontare. Attratta dalla voglia di conoscere il mare. Attratta dalla sua energia.
Ecco, con queste parole, e mentre mi avvicino alla mia prossima avventura, alle prossime emozioni, spero di arrivare a tutti quelli che il surf ce l’hanno già dentro ma che non l’hanno ancora incontrato. A chi vorrebbe iniziare ma non ci riesce. A chi vive il mare. A chi passeggia in spiaggia e ci vede danzare. A chi si ferma, guardandoci affianco a un tramonto. A chi, forse, aspetta solo l’onda giusta per poterlo incontrare. A chi riuscirà ad emozionarsi con il surf. Un po’ come sta succedendo a me in questo momento. Mentre racconto di emozioni che il surf mi suscita. Mentre mi avvicino alla prossima avventura. Tra vecchi e nuovi compagni di onde.
Chissà che non sia arrivato quel momento, proprio adesso. Magari non ci incontreremo mai. Ma in fondo, in ogni onda, ci saremo. Laggiù…
“Ogni giorno, appena prima che il sole si levasse sulle cime innevate delle montagne dell’Atlante, la catena che separa le fertili regioni della costa dal deserto del Sahara, entravo in acqua con un marocchino, Amir, con cui avevo stretto amicizia. Appartenevamo a due mondi culturalmente lontani, con differenti usi, costumi e religioni. Ma quel che ci accomunava aveva più valore: eravamo surfisti. Non importava da dove venissimo o chi fossimo: cavalcavamo le stesse onde.” L’Eco del deserto.