Semi du Mont Ventoux, per i francesi è molto più di una gara di corsa, una mezza maratona, un po’ abbondante, ma così dura che ti si appiccia alla pelle come un vestito di due taglie più piccolo…
Di Carlotta Montanera (runningcharlotte.org | IG: @runningcharlotte)
Si ringraziano per le fotografie Damien Rosso / DROZ PHOTO e Arnaud Robin
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“Dalla notte dei tempi, da quando abbiamo memoria scritta e forse anche prima, l’essere umano vede nella vetta un mistico punto d’arrivo. La Dimora degli Dei, si dice parlando di alcune cime. Il Monte Olimpo, simbolo indiscusso della natura divina delle montagne, altro non è che un gigante di pietra che i piccoli uomini greci dal basso temono e venerano. Ma, si sa, la sfida tra uomo e divino popola storia e leggende. E la sola idea di poter mettere la nostra mortale impronta sulla vetta ci avvicina, almeno simbolicamente, all’immortale. E poi c’è quell’aspetto di sfida, quel gioco di ragazzi invincibili nelle speranze e scellerati nelle azioni. Quella baldanza di quando guardi con gli amici la montagna di casa e lanci il guanto: “Vediamo chi arriva per primo fin lassù?”. Dietro a ogni ascensione alle montagne “di casa” si perpetra lo stesso meccanismo, lo stesso trepidante desiderio di avventura, di provocazione, che sia la montagnetta dietro la scuola da bambini o la via alpinistica temeraria.”
Il “Ventoso” di Petrarca
Nel 1336 Francesco Petrarca – proprio lui sì, quello che studiamo nei libri di letteratura – sale in vetta al Mont Ventoux, la più alta della Provenza, insieme con il fratello Gherardo, animati dalla medesima idea di avvicinarsi al cielo. Di quella giornata di speranza e fatica scrive una lettera, in latino, all’amico frate Dionigi, “Ascesa al Monte Ventoso”.
È questa la prima volta che ho sentito nominare il Gigante di Provenza, tra una versione di latino e un capitolo del libro di letteratura italiana. Ed è lì, nelle parole di un giovinetto molto filosofico e non troppo atletico, che nasce nella mia mente l’immagine di questo monte pelato dal vento e mastodontico.
“Dapprima, colpito da quell’aria insolitamente leggera e da quello spettacolo grandioso, rimasi come istupidito. Mi volgo d’attorno: le nuvole mi erano sotto i piedi e già mi divennero meno incredibili l’Athos e l’Olimpo nel vedere coi miei occhi, su un monte meno celebrato, quanto avevo letto e udito di essi”.
Marco Pantani, il Mito
Mentre io studiavo Petrarca e Leopardi, sognando “interminati” spazi, sovrumani silenzi e profondissima quiete, l’immagine del Ventoux si imprimeva indelebilmente nella mia mente e in quella degli italiani. Era il 13 luglio del 2000 quando Marco Pantani tornava a vincere in una delle tappe più belle della storia del ciclismo. In quel teatro di pietre e vento che è la salita al Ventoux, il duello tra il Pirata e Lance Armstrong, fianco a fianco, uno in maglia gialla e Marco vestito di rosa. In un’epoca in cui il ciclismo era affare nazionale, lì, a quell’ultima curva, due campioni pazzeschi hanno scritto una della pagine più belle della storia sportiva, in vetta al Monte Ventoso.
Semi Marathon du Mont Ventoux, ci vado!
Ed è così che quando Instagram – sì Instagram – mi ha mostrato le immagini della “Semi Marathon du Mont Ventoux” ho iniziato a desiderare di correrla. Io non sono una “salitista”, non sono leggera, né in bici né di corsa, ma come Petrarca nella salita vedo la purezza della fatica, l’ascensione alla bellezza. Salire è un atto di umiltà e insieme di sfida. E salire sulla vetta del Ventoux, di corsa, riempie ogni muscolo di desiderio. Così mi sono iscritta a questa gara, per onorare il simbolo, prevedendo un weekend in Provenza in famiglia e una nobile fatica da gustare da sola.
La Mezza del Mont Ventoux è lunga 21,6 km in realtà, con 1.610 metri di dislivello. Una pendenza media del 7,4% con punte che superano il 10%. Dicono sia la mezza più dura in assoluto. E hanno ragione.
Anaïs
Sono le 7 del mattino a Bédoin, uno di quei borghi provenzali da cartolina con tanto di chiesa e borgo storico di tufo chiaro arroccati in alto; i runner affollano la via centrale. Siamo 1.500, il numero è chiuso e i pettorali finiscono presto. L’ambiente è quello della corsa di paese, il parterre invece vede in prima linea il gotha di Francia. Tra tutti, la stella della competizione è Anaïs Quemener, maratoneta da 2h28, famosa più per il suo temperamento audace e per la sua storia di vita che per i suoi successi, peraltro di grande rilievo. La incontro il pomeriggio del sabato, per qualche domanda e per farmi autografare il libro che ha scritto e che io ovviamente ho letto non appena è uscito. Un metro e cinquanta di donna, dalla pelle ambrata e il sorriso coinvolgente. Detiene il record della gara, con 1h48’05’’, e negli ultimi anni è diventata un punto di riferimento per le runner francesi. Colpita da cancro al seno, ha affrontato la malattia senza sconti, con la sola voglia di vivere. E di correre. La vedo sulla linea di partenza, con la sua divisa bianca e lilla, i nastri tra i capelli scuri, i brillantini sul viso. La rivedrò negli ultimi 500 metri di gara, lei già arrivata e io tronfiante su quella pendenza al limite, lì, su quel tornante, quello di Pantani e Armstrong.
Io
Partiamo e resto tranquilla, respiro regolare e gamba leggera, in attesa che la pendenza aumenti. Una volta, tanti anni fa, intervistando Lucilla Andreucci, mi sono rimaste impresse nella mente le sue parole: “la fatica è vita”. E io, questa vita, la sento nei quadricipiti. A metà gara la salita non lascia scampo e mi rendo conto che è vero, è la mezza più dura che ho mai affrontato. Il passo si fa corto, senza darmi alcuna possibilità di riprendere una corsa agile. Quando la strada finalmente lascia il bosco, l’aria si fa più chiara, trasparente, abbagliante. Il Ventoux si chiama anche “monte pelato”: un panorama lunare di fatica e sassi e sabbia. Bianco. Non mi vengono in mente molti aggettivi per descrivere la mia reazione, a metà tra il delirio e la pace interiore. Sono ammutolita, soffocata dalla fatica e dalla bellezza. Sotto di noi un tappeto di nubi bianchissime, sopra le nostre teste la vetta, spelacchiata, con il suo inconfondibile pennacchio, una antenna bianca e rossa, enorme ed emblematica. Giro qualche video a testimonianza di quanto sia tutto al limite del collasso eppure bellissimo.
L’ultimo tornante è massacrante…
ma mancano 150 metri e sulla curva vedo Massimo con Matteo sul passeggino. Sono saliti su, a vedere mamma che a 42 anni prova ancora a chiedere gli straordinari ai suoi muscoli. Anche mio figlio di 3 anni ha imparato a conoscermi, quando mi vede tra la fatica estrema sorridere felice. Sa che questo è il mio modo di stare al mondo. Chiudo con un decoroso 2h10’03’’, dietro a campionesse imprendibili. Al traguardo capisco cosa significa “vedere le stelle”: questa è in assoluto una delle esperienze fisicamente più dure che io abbia mai affrontato.
Il gonfio delle nubi
Il panorama di fronte a me è pazzesco: il terreno chiaro contrasta con il cielo gonfio di nubi alte e scure, mentre sulla valle la coperta bianca delle nuvole umide fa da sfondo. Mi fermo a riprendermi con la mia famiglia di fianco, Matteo mangia i cracker del (mio) ristoro. Io bevo qualcosa di dolce, le gambe soffrono quel dolore che raramente avverto, quello della fatica estrema, del muscolo che si è spremuto, più che in una maratona. Al traguardo continuano ad arrivare i corridori. Molti sono qui per onorare la scommessa con gli amici e la promessa con se stessi: salire di corsa il Gigante di Provenza. Le donne sono una minoranza, per ora. Quelle che salgono qui lo fanno per una questione intima, per un voto alla propria personale vocazione di runner. Eppure tutti sorridono, anche chi cammina per gli ultimi chilometri, perché il Gigante accoglie tutti. Che bellissima, meravigliosa, quieta pace sento. Ho promesso a Matteo un gelato alla lavanda, è ora di scendere.
Prossima edizione luglio 2025. Accettate la sfida?
4running lascia la porta aperta ad ognuno di voi. Le vostre sfide, se ben raccontate, sono ciò che ci piace di più e, rileggendo tra le righe, ci ritroviamo a pestare il caldo dell’asfalto, come il brecciolino sdrucciolevole dei sentieri. Adesso tocca a voi!