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“Il quarto Stelvio”: Gravel senza limiti.

di - 10/08/2024

Da Bormio, da Santa Maria e da Prato…” Se chiedete a qualsiasi appassionato di Ciclismo quali siano i versanti da cui si può scalare lo Stelvio, la riposta sarà unanimemente questa. Se lo chiedete invece a Matteo, vi dirà che, in realtà, i modi di arrivare ai 2.757 metri di altitudine del Passo dello Stelvio sono quattro. A patto di pedalare su una MTB o su una Gravel. E di avere buone gambe, aggiungo io dopo averlo (quasi) fatto…

La prima volta

Se il mio primo approccio con i tornanti dello Stelvio è stato a dir poco avventato, e il conseguente rifiuto scontato e meritato, in questo secondo tentativo ci credevo davvero e quindi la sconfitta è più difficile da accettare. Allora si trattava della prima uscita su strada della mia vita, affrontata con un mezzo improbabile (la bici di mio fratello, dieci centimetri più alto di me) e un’attrezzatura più che inadeguata, pericolosa (un’accoppiata scarpe/pedali incompatibili). Per me, che venivo dalla MTB, esisteva solo il sistema SPD e quindi la compatibilità fra tacchette e attacchi era sempre scontata…
Comunque, nonostante le premesse sconcertanti, riuscii a issarmi sino al sedicesimo chilometro, quando la valle si apre e la strada spiana un po’, permettendo di rifiatare prima degli ultimi e temibili chilometri. A quel punto, nonostante una volontà di ferro, la palese inadeguatezza prima fisica e poi di materiali, mi convinse a mettere fine al calvario e tornare a Bormio. La discesa fu quasi peggio della salita, poiché il controllo sulla bici era solo una opinione e nemmeno troppo convinta.

La rivincita

L’occasione del riscatto è arrivata dopo una ventina d’anni. Un lungo periodo in cui l’attrazione verso lo Stelvio non è mai venuta meno, ma le occasioni d’incontro non ci sono state. Fino a luglio.
Lo scorso anno ho conosciuto Matteo, guida ma soprattutto esploratore e grande conoscitore di strade e sentieri dell’Alta Valtellina, e con lui ho fatto due giorni di Gravel in Valdidentro (raccontati su queste pagine). Durante quelle pedalate ci siamo ripromessi che saremmo tornati in sella nel Parco dello Stelvio, ma con l’idea di fare qualcosa di più avventuroso e speciale. I pianeti si sono finalmente allineati ed eccomi di nuovo a Bormio, ma questa volta insieme a me e Matteo ci sarebbe stato anche un giornalista svizzero, che era lì per realizzare un ampio servizio sulle strade e i sentieri dell’area, a cominciare da quello che Matteo ci aveva anticipato essere il quarto versante dello Stelvio. Un’ascesa che avremmo affrontato in stile Alpine Gravel, una definizione già poco rassicurante ancor prima di poggiare il sedere sulla sella.

Chi ben comincia…

Appuntamento un venerdì mattina ai laghi di Cancano, loro partiti alle 8 da Bormio in bici, io alle 5 dal Ghisallo, in auto. Un viaggio interminabile, ma almeno risparmio la salita in fuoristrada da Bormio ai laghi, che ben conosco e che, quando non tira, è minimo al 10%… Io su ci sono arrivo in macchina e mi godo la musica della radio e il cielo stupendo, che prelude a una giornata epica, quantomeno dal punto di vista meteorologico. A proposito di cielo, un primo segnale di che piega avrebbe preso l’avventura me lo aveva già mandato subito dopo le prime pedalate verso il punto di incontro stabilito. Faccio infatti confusione con le dighe e mi dirigo spedito a quelle superiore fino a che, con il Garmin che mi dice 3 chilometri, mi ricordo che Matteo mi aveva detto che la chiesetta dell’appuntamento era a un chilometro e mezzo dal parcheggio… Vabbè, mi dico, tre più tre fa sei: consideriamolo un piccolo riscaldamento prima di attaccare la salita.

La chiesa (e i primi santi) sono finalmente raggiunti. Alain è un simpatico ragazzo baffuto, con uno zainetto sulle spalle in cui tiene la macchina fotografica. Dopo le prime centinaia i metri percorsi insieme, scopro che è un fortissimo pedalatore, con quarant’anni di gare alle spalle, gli ultimi passati in giro per i mondo a fare gare di ultracycling. Ecco il secondo segnale che la giornata sarebbe forse andata in modo differente da come l’avevo immaginata. Comunque, sia Alain sia Matteo non se la menano e fanno l’andatura sul mio passo.

Scenari unici

La prima parte del percorso è un traversone che si addentra nella val Forcola, ampia ma aspra, percorrendone il fianco sinistro con pendenza a una cifra e sempre costante. Sul lato opposto, intravvediamo la seconda parte che punta più decisa in su, per risalire con numerosi tornanti tutto il fianco della montagna. Il fondo è quello tipico delle strade militari costruite per muovere truppe e mezzi durante la Grande Guerra, quindi ciotoli abbastanza compatti, ma che non facilitano certo la scorrevolezza. Il panorama è quello tipico dell’alta montagna. I laghi di Cancano sono circa a 1.900 metri e qui superiamo già i 2.000 metri. Siamo fra pareti scoscese, guglie quasi dolomitiche e ghiaioni. Il paesaggio cambia però di continuo e la salita non è mai noiosa. Dura, però, sì…
Risalito il fianco della montagna ci troviamo su un ampio plateau di pascoli, che le abbondanti piogge del periodo hanno reso verdissimo e pieno di fiori gialli (ma anche rosa e blu, che formano morbidi cuscini che colorano a chiazze la strada). Strada che non smette mai di salire e che, quando ti sembra di rifiatare, il computer ti dice che sei all’8%.

Il gioco si fa duro

La mia colazione delle 5.15 ha ormai esaurito il suo compito da tempo e le barrette e l’acqua che avevo con me sono quasi finite. Mi sento già le gambe un può vuote, e lo sguardo che individua in un sentiero ripido, che taglia a mezza costa la corona di pareti che circonda il pianoro, non migliora il mio umore né lenisce la stanchezza.
Matteo e Alain sono un’ottima compagnia, saliamo ognuno al suo passo, ci fermiamo a fare foto e a rifiatare ogni tanto. Questo quarto settore del nostro itinerario è forse il più tosto: in alcuni punti i ciotoli che coprono il fondo sono meno compatti e, soprattutto a bassa andatura, rendono disomogenea la pedalata e lo sforzo.
La quota è già oltre i 2.400 metri, incontriamo ampi residui di nevai e, quando scolliniamo (siamo alla Bocchetta di Pedenolo) i cartelli segnano 2.760 metri. A queste quote la fatica è aumentata anche dalla carenza d’ossigeno e i tratti sconnessi, seppur brevi, che supero spingendo la bici, non capisco se migliorano o peggiorano la situazione. Fatto sta che comincio a percepire quel principio di crampi che, mantenendo una cadenza di pedalata elevata e fluida, si riesce comunque a tenere a bada.
I cartelli alla bocchetta riportano anche le indicazioni per il passo Umbrail, meta finale di questa parte di salita, dato a 1.50 h di cammino. Ma noi siamo in bici e, dopo un’ultima fatica che ci porta, con un po’ di portage, alla vecchia caserma degli alpini, diroccata, percorriamo in sella un tratto pedalabile fino alla Bocchetta di Forcola, da cui godiamo la vista dello Stelvio e delle montagne che lo circondano, con l’Ortles che domina la scena.

Basta salita

Da qui fino alla IV Casa Cantoniera è una discesona veloce e divertente che, dopo quattro o cinque tornantini stretti e ripidi, si trasforma in un traverso piuttosto dolce sul fianco della bastionata che divide Italia e Svizzera.
Raggiunto l’asfalto della statale, la meta finale, il Passo dello Stelvio dista quei tre fatidici chilometri che inquietano i sogni dei ciclisti.
Nei piani originari di Matteo avremmo dovuto raggiungere il passo ancora in offroad, percorrendo un tratto piuttosto arduo e con diversi tratti di portage, ma le nuvole nere che si stavano addensando sopra le nostre teste e l’ora tarda consigliano di rivoluzionare i piani: niente salita fino al passo, ma solo poche centinaia di metri su asfalto per poi imboccare il sentiero che, sul lato opposto della valle, costeggia i laghetti di Scorluzzo e scende fino alla base del pianoro della III Cantoniera, dove incontra la statale.
Non ho più le forze per percorrere altra salita, seppure sullo scorrevole bitume, così decido di puntare il manubrio verso valle e scendere fino al punto in cui Matteo e Alain incroceranno l’asfalto, per poi percorrere insieme il resto della discesa.

Un epilogo agrodolce

Ecco, dopo pochi minuti e dopo vent’anni, mi trovo di nuovo lì, fermo davanti alla Casa Cantoniera. Mi tolgo scarpe e calze e infilo le gambe nella fontana gelida. Ho tempo per riposarmi un po’ e per pensare. Non essere riuscito anche questa volta a fare ciò che avrei voluto, mi lascia un po’ di amaro in bocca, però la sensazione dura poco: le immagini della giornata, dei luoghi, del cielo e delle montagne e delle salite conquistate prendono in fretta il posto degli altri pensieri.
Scorgo i miei compagni sul tratto finale della loro variante fuoristrada. Ci ricongiungiamo e voliamo verso valle, mentre comincia a piovere forte. Il cielo lo aveva preannunciato, ma si sa, il tempo in montagna cambia in fretta, così quando entriamo a Bormio lo stesso cielo ci concede di sederci a un bar in piazza e concludere, ora proprio come lo avevo immaginato, questa storia. Bevendo una birra gelata mentre sorridiamo guardando le foto della nostra avventura. 

Mi piacciono le biciclette, tutte, e mi piace pedalare. Mi piace ascoltare le belle storie di uomini e di bici, e ogni tanto raccontarne qualcuna. L'amore è nato sulla sabbia, con le biglie di Bitossi e De Vlaeminck ed è maturato sui sentieri del Mottarone in sella a una Specialized Rockhopper, rossa e rigida. Avevo appena cominciato a scrivere di neve quando rimasi folgorato da quelle bici reazionarie con le ruote tassellate, i manubri larghi e i nomi americani. Da quel momento in poi fu solo Mountain Bike, e divenne anche il mio lavoro. Un lavoro bellissimo, che culminò con la direzione di Tutto MTB. A quei tempi era la Bibbia. Dopo un po' di anni la vita e la penna parlarono di altro, ma il cuore rimase sempre sui pedali. Le mountain bike diventarono front, full, in alluminio, in carbonio, le ruote si ingrandirono e le escursioni aumentarono, e io maturavo come loro. Cominciai a frequentare anche l'asfalto, scettico ma curioso. Iscrivendomi alle gare per pedalare senza le auto a fare paura. Poi, finalmente arrivò il Gravel, un meraviglioso dejavu, un tuffo nelle vecchie emozioni. La vita e la penna nel frattempo erano tornate a parlare di pedali: il cerchio si era meravigliosamente chiuso.