Testo e foto: Richard Felderer
Middle life crisis?
A volte penso che invecchiare, probabilmente per un meccanismo di azione-reazione, mi porti a fare cose molto più stupide e consciamente sciocche di quando avevo vent’anni.
Il fatto di essere più preparato tecnicamente, insieme al fatto di aver accumulato più esperienza, porta a partorire idee e progetti che troppo spesso sfociano in avventure al limite dell’impossibile piuttosto che di semplici weekend già di per sé avventurosi e intrinsecamente a caccia di guai!
Un weekend, o comunque una bolla di alta pressione si trasforma quindi spesso in una micro-spedizione, e se la meteo cambia… poco male, si parte lo stesso.
Micro spedizione
Quando di spedizioni ne hai fatta qualcuna, e ne senti parlare troppo spesso anche da altri, cambia la tua forma mentis, il modo di approcciate le cose. Talvolta in meglio talvolta in peggio. Andare a fare un’uscita da un giorno viene spesso preso sottogamba, parti con una maglietta e poco altro e, quando le condizioni cambiano, fai spallucce e porti pazienza. Se invece cominci a partire per un “giretto” by fair means, alle volte ti trovi con una zaino da 35 kg assolutamente non necessario, come se dovessi stare in giro due settimane. Ma tant’è!
Partiti
Sono sempre andato per fare cose. Non mi interessa raccontarle, fare il figo, cercare scorciatoie o aspettare il momento perfetto guardando dodici bollettini e sentendo tutti gli amici possibili e immaginabili. A un certo punto vai e basta! Trovi il tuo socio, quello che “ci sta dentro”, e gli altri o seguono o, perdonate il francesismo, s’inculano! Perché la montagna non è sempre un comodo resort in perfette condizioni. La montagna è la fuori che ci aspetta, non ci accoglie e siamo noi a doverci adattare alle sue esigenze. Se non siamo in grado, se dobbiamo riportare tutto a una squallidissima “homo mensura”, allora è meglio che lasciamo stare, ci leggiamo i libri di Buzzati e andiamo nella hall di qualche grande albergo dolomitico a pontificare per fare colpo su improbabili carampane impellicciate, parlando di lotta contro l’alpe e altre cagate del genere.
Quindi siamo fuori.
Cuocio ma ho freddo
Quasi sempre mi chiedo se ha un senso. E sono sicuro al 99% ce non ce l’abbia, ma questo è un problema mio. Intanto sto facendo una fatica assurda! Sudo, maledico, bestemmio, respiro, penso alle sigarette passate. Guardo in alto. Manca ancora tantissimo. Merda… Come sempre in quota la parte al sole, o sottovento è in surplus calorico. Dove batte il vento, soprattutto quando gira all’ombra, un freddo maledetto. Che faccio? Mi copro o non mi copro? Di solito cerco di non fermarmi e andare avanti. Odio le interruzioni, la non continuità. Spesso non mi fermo anche se so che è stupido perché ho un sasso nella scarpa, o parto per un tiro sapendo che in sosta avrò freddo. Cerco di “fare il vuoto” nel cervello, di non pensare e di non essere schiavo o quantomeno vittima delle sensazioni e dei fattori esterni, che il cervello rielabora a volte in maniera non corretta.
Un solo obiettivo: essere la fuori
Mentre vado maledico il fatto di non essere sul divano a sciallarmi, pennichellare e zappare tra programmi più o meno inutili. Poi mi guardo intorno e il programma che stanno dando è il migliore del mondo, e non c’è altro! Non lo posso cambiare, è questo: e così deve essere. Tra poco farà buio, e il film proseguirà lentamente, senza interruzioni, senza telefoni che suonano “ué, cosa fai per cena? Ci vediamo al…?” Per cena zuppa calda della Star (o della Knorr), neve sciolta condita al moscerino, barretta e the! Cose che altrimenti neanche penserei fossero commestibili qui sono buonissime, roba da gourmet, pulisco la pentola col dito! E capisco quando vedo gli ungulati leccare pietre e altre cose alla ricerca spasmodica di sali minerali. L’acqua in quota ne è poverissima, e si sente proprio l’esigenza di mangiare/bere zuppe salate. È una goduria! Beh, non vorrei sembrare esagerato, ma mi piace ricordarlo così!
Non dovrei dirlo
Finito tutto c’è un momento che non va dimenticato, quello prima della buonanotte in cui esco da quello che è il mio riparo, un sasso, una tenda, un bivacco per guardare il vuoto e ascoltare il silenzio fumandomi il mio sigarettino. Mi sento un po’ John Wayne e un po’ idiota. Lo so, non dovrei etc etc. Ma lasciatemi un vizio, almeno uno!
Out of comfort zone
Quello che tutti pensano sia in questa zona, in realtà non esiste. Uscire dalla comfort zone richiede un solo sacrificio: quello di vincere l’inerzia. Una volta partiti si entra in un’altra zona, che non ha nomi, ognuno la vede e la sente come vuole. L’importante è uscire dalle calde braccia del centro commerciale, mandare affanculo code, uffici, casini. Che paradossalmente sono comodi e confortevoli. E condivisibili! È molto più conviviale e semplice parlare di una multa o dell’iva da pagare che spiegare cosa c’era di bello nel fumarsi una sigaretta a 4000 metri con le mani ghiacciate, soli come dei cani e in una situazione pericolosa!
Ma è il processo di uscire che fa la differenza. Poi una volta avviato, si sta benissimo! Si dorme come bambini, si mangiano cose (apparentemente) buonissime, si seguono i ritmi che il corpo ci detta. Si ha la sensazione di fare qualcosa di speciale! Di speciale per noi. Per il proprio ego, per il proprio egoismo. Che non va negato, ma va anzi esaltato. È bello fare qualcosa per sé stessi, nei limiti in cui non toglie niente a nessun altro! Ed è bello ammetterlo.