Abbiamo sempre detto e scritto che, se ti ritieni un granfondista, la Fausto Coppi la devi fare almeno una volta nella tua carriera sportiva amatoriale. Gara e manifestazione “vera”, granfondo con “gli attributi”, salite toste e discese ancor di più, il tutto condito da ‘un’organizzazione che nel corso degli anni è cresciuta, maturata, sempre attenta ai dettagli, con l’obiettivo di offrire il miglior prodotto possibile. Emma e Davide (Mana e Lauro), il cuore del comitato organizzatore, i loro collaboratori, saranno sempre alla ricerca di qualcosa di nuovo, di qualche miglioria! Ed è giusto così. Chi li conosce non li vedrà mai contenti al 100%, soddisfatti si ma sempre convinti che “si poteva fare di più”.
Quando su una rivista si racconta di un evento si tiene un approccio il più possibile neutro. Tuttavia pedalare è la nostra passione ed è naturale che ci siano alcuni eventi cui siamo particolarmente affezionati. E quando diciamo siamo, non intendiamo il “pluralis modestiae” che è la cifra stilistica degli articoli di 4Bicycle. No, intendiamo proprio dire, Alberto e Davide, e nello specifico l’evento cui siamo affezionati è la Granfondo Fausto Coppi – Officine Mattio. Ecco un racconto a quattro mani!
Ci siamo recati a Cuneo nella centralissima piazza Galimberti gremita di stand e attività. Ognuno di noi due in modo indipendente, con motivazioni (lavorative) differenti. Si va dalla dalla palestra di arrampicata gestita dagli Alpini alle pedalate per bambini e adulti tra le vie della città. Qui abbiamo ritirato il pacco gara contenente la maglia tecnica by GSG da indossare obbligatoriamente durante l’evento. Unici esentati i due atleti professionisti del team Novo Nordisk (le cui divise sono fornite proprio da GSG) e l’Élite cuneese Erika Magnaldi, che pedaleranno in gruppo l’indomani.
La grafica bianco celeste della maglia della 32esima edizione rimanda a Fausto Coppi, di cui ricorre il centenario della nascita, ed in particolare ai 70 anni dalla celebre impresa nella tappa Cuneo Pinerolo. Questa tappa fu vinta da Fausto in 9h19’55” per distacco dopo una lunga fuga solitaria. È proprio questo riferimento cronometrico a dare il nome alla mostra, visitabile fino al 15 settembre, che celebra il campione e l’impresa.
Un percorso audiovisivo, diversi cimeli ed una ampia esposizione di bici che copre 100 anni di evoluzione della bicicletta. Se poi si arriva a Cuneo in una bella e torrida giornata come quella che ci ha accolto, vale la pena passeggiare per tra i porticati di via Roma o i locali che si affacciano sul torrente Gesso che, insieme allo Stura, abbraccia la città.
Qui ci si può trattenere degustando un gelato o le numerose specialità locali. Si va dal formaggio, alla carne, ai vini… anche se da questi ultimi, a malincuore, ci siamo astenuti in vista di cosa ci attendeva l’indomani anche se con animi abbastanza diversi. Alberto, reduce da un grave infortunio sta ritrovando il pieno vigore mentre Davide, al contrario, è ormai al termine di un lungo periodo agonistico.
Per concludere la giornata abbiamo preso parte alla cerimonia delle nazioni, il tradizionale benvenuto ai ciclisti stranieri provenienti quest’anno da ben 37 nazioni, alla presenza di ambasciatori e rappresentanti della stampa italiana ed internazionale. Un modo di far conoscere questo territorio tanto in Italia quanto all’estero. E qui permetteteci di spendere delle parole di elogio per il comitato organizzatore presieduto da Emma Mana e Davide Lauro. Un comitato che in una logica dei piccoli passi, molto concreta, molto cuneese, ha visto anche quest’anno un aumento degli iscritti con il raggiungimento del numero chiuso, portato dai 2600 del 2018 ai 2800 di quest’anno. Pochi 200? Non lo crediamo, anzi un segnale in controtendenza in un momento in cui altre manifestazioni faticano a mantenere i propri numeri. Merito di un comitato che, sostenuto dalle istituzioni locali, interviene attivamente per la valorizzazione e la preservazione del territorio in cui opera. A questo vogliamo aggiungere, la capacità e cabarbietà di aver coinvolto la “parte politica”, comitati, territorio, amministrazioni, enti e associazioni, tutti propositivi nel confezionare un evento spendibile nel mondo.
Basti pensare alla campagna #salviamolestradedimontagna che ogni anno raccoglie fondi e investe ore di lavoro per il mantenimento delle strade su cui si svolge la manifestazione. Certo che se queste strade ricevessero le stesse attenzioni di quelle di cui godono altre regioni alpine o anche solo, finalmente, si completasse l’autostrada che da anni si ferma in quel di Alba, allora sì che si riuscirebbe a far conoscere come merita questo angolo d’Italia. Ma sono cose che vanno oltre il potere di una singola ASD o anche di un’amministrazione locale anche se, così ci hanno detto, qualcosa si sta finalmente muovendo e confidiamo in liete novelle nel prossimo biennio.
Veniamo alla manifestazione ciclistica. Partenza alle 7:00 con temperature in calo rispetto ai giorni precedenti ma decisamente estive. Ad aumentare la sensazione di disagio una cappa di nubi che certo ripara dal sole, ma rende più pesante l’aria densa di umidità. Come sempre griglia unica è proprio per questo non fa parte di alcun circuito che privilegi i propri abbonati nell’assegnazione delle dorsali. Tuttavia la Fausto Coppi fa parte di un circuito in effetti, insieme ad alcune granfondo transalpine, a testimonianza della vocazione internazionale di questa manifestazione. Griglia unica che apprezziamo, come uno dei modi migliori per gestire la convivenza tra gli animi più agonistici e quelli meno ed evitare fraintendimenti con chi non conosce tutti i regolamenti delle singole manifestazioni o circuiti. Semplicemente chi vuol fare la gara non ha che da entrare in griglia molto presto. Chi viceversa non ha intenzioni battagliere, tra cui i molti stranieri in particolare, può arrivare con maggiore agio. Altra peculiarità di questa granfondo è la divisione tra i percorsi che avviene un paio di chilometri dopo il via, non appena si supera il viadotto sullo Stura.
Alberto svolta a destra sul lungo mentre Davide prende la via del medio a sinistra. Il Fauniera, salita simbolo della manifestazione, fa paura. Pertanto l’andatura non è estrema né sul medio ed ecco una sorta di paradosso; sul percorso più lungo si pedala per lunghi tratti oltre i 60 kmh, si rallenta e si respira, si accelera nuovamente. Si arriverà ad attaccare l’erta di Valmala, la prima salita del lungo della Fausto Coppi 2019, vicini ai 41 kmh di media. Se la si guarda sull’altimetria del percorso sembra poca roba in confronto al Fauniera ma si tratta di circa tre quarti d’ora di impegno e in molti ci arrivano con la lingua di fuori. È una salita abbastanza regolare cui segue una tecnica discesa. Ben diverso è il carattere della seconda ascesa che porta alla Piatta Soprana. Più irregolare e dove il caldo inizia a mordere, tanto che arrivare al ristoro per far riempire le borracce è un po’ come raggiungere un’oasi nel deserto. Non solo: come vuole la tradizione, una volta passati dall’abitato di Dronero (dove inizia la salita), il caldo, il sole e l’umidità mordono i corridori e la selezione è inevitabile.
E il peggio deve ancora avvenire anche se non sembra dato che la strada che porta a Pradleves corre veloce. C’è modo di rifiatare prima di affrontare il Fauniera. Salire il Fauniera è un viaggio lungo, in media, un paio d’ore. Bisogna gestirti e non guardare gli altri. Qui sei solo tu e la montagna, al massimo un branco di bovini che muggisce con vigore guardandoci passare. Tutto il resto cessa di esistere e quando si giunge in vetta l’emozione è forte anche grazie al pubblico presente che aspetta, batte le mani, incita.
Ma il Fauniera, detto non a caso anche Colle dei Morti, sa essere terribile. Gli atleti impegnati sul medio lo hanno approcciato ad un orario per cui le temperature erano sopportabili e le nebbie mattutine in sollevamento regalavano suggestivi scorci. Al contrario, sul lungo lo si affronta quando il sole picchia come un martello sul nastro d’asfalto ruvido che fa da incudine. L’afa è opprimente e tu sei lì, che friggi a fuoco lento. Lento come la tua andatura. Santifichi ogni ristoro predisposto dall’organizzazione (cui quest’anno si è aggiunto quello posto in corrispondenza del recentemente inaugurato rifugio Fauniera) ed approfitti anche di quelli offerti da chi ha semplicemente una casetta sulla salita, come avviene a Chiotti, o dai team locali. Da Campomolino sono 15,5 km di ascesa, ne sono passati già 8 (circa). Qui non si inventa nulla, questa salita la subisci a prescindere anche se sei un fenomeno, anche se sei preparato ed allenato per fare questo. La puoi aggredire, la puoi assecondare ma lei inevitabilmente arriva a mordere e ti presenta il conto.
Passato il Santuario di Castelmagno e la strada concede una breve tregua prima di riprendere ad inerpicarsi. Si inizia ad intuire il passo, poi lo vede ma è ancora lontano. Gli ultimi due chilometri scorrono così lenti che ti trovi fermo al ristoro di vetta senza nemmeno aver bisogno di tirare i freni. Poche decine di secondi, senza nemmeno scendere dalla bici, ed i gentilissimi volontari prendono le borracce che vengono quindi restituite piene e accompagnate da un sorriso. Sorriso che andrebbe ricambiato, magari unito ad un grazie, se non si è troppo stanchi o troppo ingarellati! Queste non sono frasi di circostanza ma la realtà che abbiamo vissuto in più edizioni. Correre qui vuol dire anche questo.
Ci offrono anche da mangiare e da bere. Una coca o un caffè non guastano in vista della discesa del Fauniera che, da qualunque versante la si affronti, richiede attenzione. Vuoi per il manto stradale irregolare, vuoi per la sede stradale abbastanza stretta e per le curve decise. Anche se c’è la tentazione di imitare le gesta del “Falco” Paolo Savoldelli, sempre meglio ricordarsi che la bici ha anche i freni e che quello che abbiamo perso o guadagnato salendo il Fauniera non verrà stravolto da una discesa accorta.
Quel che davvero aiuta è trovarsi in un gruppetto al termine di questa, per risparmiare poi un po’ di energia in vista dell’ultima ascesa che porta alla Madonna del Colletto. La cima è in parte avvolta dall’umidità, non fa freddo ma il clima dei 2500 metri di altitudine è sicuramente più godibile di quello della “bassa”. I cumuli di neve che abbiamo visto su FB qualche settimana a dietro no esistono più, solo in alcune insenature protette dall’ombra della montagna. Vorresti toccarla per vedere l’effetto che fa, vorresti prenderne una manciata da infilare nella maglietta, vorresti infilarci i piedi dentro. No, ci aspetta una discesa da godere!
L’inizio dell’ultima reale asperità di giornata è tra due ali di folla che con energia batte le mani e scandisce un ipnotico “bravi, alé, bravi, alé”. A chi ha ancora forza viene quasi naturale buttare giù un dente e allungare per offrire “spettacolo”. Per gli altri si tratta di gestirsi ed eventualmente fermarsi un’ultima volta al ristoro posto in vetta prima di affrontare il rientro verso Cuneo. Scollinare al Colletto è per molti una liberazione, una vittoria, aver fatto un’impresa che prima di tutto diventa un successo personale.
La discesa tecnica e con manto irregolare obbliga a tenere alta l’attenzione; tornanti su tornanti, curve a gomito e strettoie che portano ad attraversare il borgo di Valdieri, la giusta via che riporta i partecipanti sulla strada principale. Borgo San Dalmazzo e poi Cuneo. Qui si fa velocità, se si è in gruppo e c’è buon accordo. Il viale alberato del lungo Gesso annuncia l’approssimarsi dell’arrivo. Rapida sequenza di curve, sinistra destra per transitare sotto un arco, prima di impostare la volata in piena sicurezza o di congratulandosi con i compagni con cui si sono divise le fatiche degli ultimi chilometri.
Anche quest’anno ci siamo sudati la medaglia da finisher di questa bella manifestazione. Come sempre ripartiamo da Cuneo con negli occhi, nelle orecchie e nel cuore il calore di questa gente. Torneremo anche il prossimo anno ad affrontare il Fauniera, sperando nella sua clemenza. Bianco e azzurro, viola, verde, giallo, grigio, flag multicolor e tanti altri abbinamenti di colori! Le maglie che simboleggiano la Fausto Coppi iniziano ad essere tante ed ognuna di queste porta un racconto, un’esperienza, un ricordo che “deve” essere trasmesso a chi, questa granfondo non l’ha ancora fatta.
A cura di redazione tecnica e Davide Sanzogni
foto C.O., Laura Atzeni e Sara Carena.
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