Si fa un gran parlare della fatica, soprattutto in questa epoca, così frenetica, sincopata: fatica, burn out, carico mentale, stress. Nello sport di endurance, tuttavia, la fatica è una componente intrinseca, non si può scindere, sarebbe come eliminare una parte del DNA del nostro sport
Testo e foto Carlotta Montanera (runningcharlotte.org | IG: @runningcharlotte)
Il segreto degli atleti
Un amico tanti anni fa mi diceva spesso che il segreto degli atleti di livello è la capacità di “uscire dalla fatica”, di sentirla arrivare e di metterla da parte per concentrarsi sull’obiettivo. Oggi, dopo tanto tempo passato tra maratone, corse in salita dalle pendenze proibitive, gare di Hyrox, ho elaborato un mio pensiero sulla fatica. Sono certa che la vera marcia in più noi amatori, forse a differenza degli atleti élite, la possiamo raggiungere il giorno che la accettiamo come una vecchia amica, il giorno che la fatica stessa ci farà sentire a casa. Senza rinnegarla, ma guardandola in faccia e abbracciandola stretta.

Che cos’è la fatica?
È un tema delicato, questo, perché ci sono diversi modi di interpretare la fatica fisica. Quanto spesso ascoltiamo o leggiamo racconti di corse “con il sorriso”, rilassanti e spensierate? In quante occasioni siamo noi stessi a pensare che non vale la pena stressarci quando siamo amatori, che l’importante è arrivare al fondo? Ed è così che parte il dibattito tra noi runner: bisogna godersi la corsa in serenità o provare a superare i propri limiti e fare pace con la fatica?
Tra fatica e soddisfazione
Ovviamente non esiste una sola risposta e la verità, anche quella soggettiva, è fatta di sfumature. Io ho una mia personale iconografia della fatica, le attribuisco un posto speciale nella mia vita. Nella maratona, per esempio, attendo il momento in cui io e lei ci prendiamo per mano, in cui ci guardiamo come due vecchie compagne di banco e arriviamo al traguardo stabilendo un solidale compromesso. Quel momento è lì, verso il 30esimo km, lì inizia la mia maratona, allora, quando il dialogo comincia. E non c’è soddisfazione più grande per me di rendermi conto che tra mente e fatica non c’è guerra, ma un patto sincero. Non sempre accade, però, alle volte facciamo le primedonne e non andiamo d’accordo, vogliamo imporci una sull’altra e le cose vanno male: io che cerco di rinnegarla, lei che si mette i tacchi alti per sovrastarmi. In fondo succede anche tra amiche di non capirsi, giusto? Ma abbiamo imparato a lasciare questi battibecchi per casi isolati!

Essere consapevoli
Ovviamente è sano che le nostre corse siano anche popolate di momenti leggeri, senza pensieri, e di sorrisi, di battute tra amici e di orologi GPS poco considerati. Non possiamo sempre avere la fatica al nostro fianco, spesso, magari dopo una lunga giornata, ci fa piacere lasciare la mente vagare e prenderla “facile”. Ma è sempre la consapevolezza di saper cavalcare la fatica, di abbracciarla e di renderla un’alleata preziosa che ci permette di scendere dal ring e smetterla di vivere la corsa con serenità.
Fatica inutile quella sportiva?
In un mondo in cui la “fatica vera” è rappresentata da ingiustizie sociali, violenze, sfruttamenti, da malattie e povertà, alle volte mi sembra distonico vantarmi di questa amicizia con la stanchezza. Contemporaneamente, però, è proprio la fatica sportiva che negli anni mi ha insegnato a relativizzare, a dare il giusto peso, ad attribuire le priorità. È proprio la fatica a farmi sentire fortunata quando corro e a riportarmi al gesto concreto della corsa, uscendo da quei racconti – a mio avviso tossici – sull’epica del running. Non sono un’eroina, non ho merito, ho solo scelto ciò che mi genera emozioni sincere.

La fatica è catartica
Il concetto di catarsi risiede nel mio cervello da quando al liceo studiavo Platone. Catarsi significa “purificazione” (evito l’etimologia greca, Wiki, se volete, vi aiuterà): Platone intende per catarsi un processo conoscitivo attraverso il quale ci si libera dalle impurità dello spirito. Ed è esattamente così che mi fa sentire lo sport di endurance quando diventa veramente duro: un gesto liberatorio, purificatorio della mente. All’interno di quel momento il superfluo cade, me lo scrollo di dosso come fuliggine. Rimane l’essenza, resta ciò che conta veramente e ci porta avanti. La fatica è mia amica, alleata, madre e sorella.
Essere se stessi
Quando guardo le mie immagini scattate in una gara particolarmente faticosa, quando mi osservo soffrire, strizzata nella smorfia tipica di chi sta andando oltre la riserva energetica, vedo me stessa al 100%. Come uno specchio di Biancaneve, quelle foto mi restituiscono l’immagine migliore di me, la più reale, forse non la più bella, ma non hanno artifici, sono epurate del superfluo, mostrano nel pieno la catarsi.

La mia conclusione
E allora qual è la via per trovare la nostra parte migliore? Andare alla ricerca del limite o rimanere dentro alla serenità di un arcobaleno? La Verità con la V maiuscola non esiste, ma lo sport ci aiuta a indagare le numerose sfaccettature del nostro diamante. Dosare le emozioni e saperle vivere appieno forse è il solo modo sicuro per costruire la nostra strada, che sia di corsa o meno.