Sono ormai quattro anni che Manon Carpenter si è ritirata dalle competizioni downhill. Anni in cui la britannica si è goduta una vita più normale, dedicandosi agli studi universitari ma rimanendo sempre all’interno di questo sport. Ha infatti assunto il ruolo di ambasciatrice all’interno dell’industria ciclistica, iniziando infatti a collaborare con Patagonia per la sua nuova linea mountain bike.
Puoi raccontarci come ti sei avvicinata alla mountain bike e com’è nata la tua passione per questo sport?
Crescendo sono stata a contatto con il mondo del ciclismo. Mio padre organizzava spesso corse nel Galles meridionale. Io mi aggregavo a lui, e sin da bambina ho frequentato l’ambiente. Poi un giorno ho iniziato a gareggiare. Quando sono cresciuta e ho avuto la possibilità di viaggiare, il mondo della mountain bike è diventato casa mia: un ambiente emozionante, pieno di persone splendide e di sfide interessanti.
La transizione verso le gare competitive è stata graduale. Con mio padre molto presente nell’ambiente delle competizioni, ho avuto fortuna: sono partita con gli eventi a livello locale, ai quali ho partecipato per divertimento, e un po’ alla volta mi sono fatta strada sul palcoscenico internazionale. Passo dopo passo, mi sono trovata a competere nella Coppa del Mondo Junior! All’epoca, 10 anni fa, non erano molte le donne che gareggiavano. Finita la scuola, ho deciso di fare un tentativo e provare a gareggiare a tempo pieno, mettendoci tutta me stessa. Questo mi ha portato a stare per sei anni nel circuito della Coppa del Mondo.
Col passare del tempo, in cosa si è spostata la tua motivazione?
Prima di terminare la mia carriera agonistica, ho deciso che volevo tornare all’università. Ho sempre pensato che l’avrei fatto, ma mentre correvo ho dovuto mettere la scuola in secondo piano. Ho avuto alcuni infortuni importanti e sentivo di aver dato tutto il possibile al mondo delle gare. Così, quando ho iniziato a pensare che il mio tempo nel circuito agonistico stesse per finire, ho deciso di fare un passo indietro.
Mi sono allontanata dal mondo delle gare e ho iniziato ad andare in bici solo per divertimento, salendo in sella solo per me e per vivere nuove avventure, pedalando senza meta. Da allora mi sono dedicata a vari aspetti della mountain bike, ma ciò che amo di più sono le avventure con la mia bici e trascorrere tempo all’aria aperta. Quando gareggi, l’unica cosa che conta è andare più forte che puoi, motivo per cui negli ultimi anni ho apprezzato la possibilità di rallentare e godermi il paesaggio.
Al momento, mi divido fra lo studio per un dottorato in Geologia e la bici, che riempie il mio tempo libero. Ciò che faccio con la bici è in continua evoluzione, ma apprezzo l’equilibrio che mi dà questo mix di studio e bici. Si tratta di due prospettive e due mondi completamente differenti. Di recente sono passata anche alla produzione di contenuti multimediali legati alla mountain bike, dirigendo alcuni brevi film (qui il canale YouTube di Manon Carpenter). Nel corso dell’ultimo anno mi sono dedicata a un progetto importante riguardo lo studio delle modalità di accesso agli spazi con le mountain bike. Insomma, le mie attività sono molto varie!
Video: bikepacking di 4 giorni in Lapponia con Manon Carpenter
Quale luogo consideri casa tua, e quali sono i trail a cui sei affezionata? Come lo descriveresti?
Vivo a Caerphilly, poco fuori Cardiff, nel Galles meridionale. Durante gli anni in cui ho gareggiato ho girato il mondo, ma questa è sempre stata la mia casa. Da casa mia posso partire in tre direzioni diverse e pedalare sulle colline per ore. Molti dei sentieri si snodano in mezzo agli alberi e sono ripidi, pieni di radici e curve: pedalare fra gli alberi è qualcosa di piuttosto comune nel Galles meridionale! Ci sono vari sentieri da seguire, il che è sorprendente considerando che siamo ai confini cittadini di Cardiff, la capitale del Galles. C’è davvero molto da scoprire.
Com’è nata l’idea dei film?
Ci ho pensato l’anno scorso, più o meno in questo periodo, durante un giro in bici. Stavo riflettendo su quanto sia bello esplorare il mondo pedalando sulla propria bici, lontano dalle strade asfaltate. L’anno scorso avevamo la possibilità di uscire di casa con la bici per fare un giro ad anello nella zona e trascorrere una bella giornata all’aria aperta. Per me era qualcosa di fantastico, ma poi mi sono resa conto di quanti dei nostri sentieri non siano segnati o del tutto consentiti, e anche di quanto siano inaccessibili per molte persone, che non sanno nemmeno da dove cominciare.
Ne ho parlato con il filmmaker e mountain biker Tommy Wilkinson [@tommyawilkinson], che sapevo essere interessato a questi temi. È un progetto complesso, e ci abbiamo messo un po’ a sviluppare ciò che vogliamo mostrare nel film, ma la nostra idea è quella di esaminare le modalità di accesso dei sentieri nel Regno Unito, i potenziali benefici della mountain bike, e parlare con persone che abbiano una vera esperienza di gestione di sentieri o terreni. Vogliamo riflettere sulle possibilità future dei sentieri e su come realizzarle.
Come mountain biker, molti di noi non sono consapevoli di ciò che succede dietro le quinte, non conoscono i rider che creano i sentieri o le persone che gestiscono o possiedono i terreni e decidono cosa farne. È stato molto interessante scoprire tutto questo e riunirlo in un unico progetto coerente.
Senti la responsabilità di condividere questi messaggi e questa consapevolezza per educare gli altri?
Sì, per molte ragioni. Nel corso dell’ultimo anno si sono verificati alcuni casi di reale tensione fra vari utenti dei sentieri, ad esempio escursionisti e ciclisti. È importante aumentare la consapevolezza delle persone su ciò che possiamo fare da parte nostra: comportarci da ciclisti responsabili ed evitare di fare danni, essere coscienti dei posti in cui pedaliamo e delle nostre interazioni con gli altri lungo il sentiero. I sentieri nella mia zona e in tutto il Regno Unito hanno avuto un impatto positivo su di me, per questo vorrei dare vita o contribuire a dibattiti importanti sul tema. Di certo ci saranno molte opinioni diverse, ed è per questo che vogliamo incontrare persone con esperienze dirette e conoscere le prospettive più diverse.
Pensi che la comunità della mountain bike accoglierà questo progetto?
È difficile a dirsi. Ci sono certamente dei rider a cui sta bene la situazione attuale e che vogliono continuare a fare i propri comodi. Ma non bisogna sottovalutare il fatto che sempre più persone si dedicano alla mountain bike, e più in generale alle attività all’aria aperta. Arriveremo a un punto in cui sarà per forza necessario cambiare qualcosa. Quindi spero che saranno in molti ad accogliere positivamente il dibattito. Indipendentemente dal fatto che si giunga a conclusioni precise o solo alla presentazione di opinioni, sarà interessante!
Come hai iniziato a collaborare con Patagonia?
Ho iniziato a parlare con Patagonia l’estate scorsa, quando ho raccontato al team i miei piani e le mie idee per il futuro. Mi ero appena laureata, e stavamo chiacchierando di una serie di argomenti su cui condividiamo opinioni comuni. L’estate scorsa sono stata invitata a un incontro di Patagonia Virtual Ambassador. Noi mountain biker eravamo gli ultimi arrivati. È stato bello incontrare tutti e partecipare attivamente. Da quel momento non ho più smesso!
Quali sono i valori di Patagonia in cui ti riconosci?
Ho sempre rispettato Patagonia come brand, e penso che lo stesso valga per chiunque ami le attività all’aria aperta. Mi sembra un’azienda che ha davvero a cuore le questioni sociali e ambientali, e promuove dibattiti e azioni su questi temi, oltre a produrre articoli per attività all’aria aperta di grande qualità.
Cerco di fare scelte consapevoli o positive in termini di impatto ambientale. Non c’e niente di perfetto è l’intento è sempre quello di migliorare, ma credo che lo stesso valga per Patagonia: cercare di fare del proprio meglio e di usare la propria influenza quando possibile.
Che cosa pensi di poter dare all’ambiente della mountain bike?
Credo che Patagonia sia entusiasta all’idea di entrare in questo mondo e dare maggior risalto al discorso climatico e ambientale. È una questione di cui non si parla abbastanza nel mondo della mountain bike, ma che sta senza dubbio prendendo piede.
C’è ancora molto spazio per il dibattito! Sarà interessante vedere come procederanno le cose, e in che modo Patagonia approccerà la questione.
Nell’ambiente delle mountain bike ci sono brand che stanno iniziando a creare prodotti in maniera molto più responsabile, e Patagonia darà un contributo fondamentale. È un’azienda all’avanguardia per progetti di miglioramento in molti sport, ma si presenterà in questo ambiente come una novità! Credo che si tratti di una novità positiva, perché Patagonia può apportare al settore le numerose conoscenze acquisite in anni di esperienza nella produzione di abbigliamento tecnico per altre attività outdoor.
Riconosci l’impatto ambientale del cambiamento climatico sui sentieri o nei tuoi viaggi?
Ultimamente, l’impatto maggiore sulla comunità dei mountain biker è causato dalle alluvioni. Ci sono stati molti eventi cancellati perché i sentieri sono stati spazzati via e le infrastrutture locali distrutte. Le alluvioni disastrose sono destinate ad aumentare in futuro. Lo scorso febbraio è stato il più piovoso mai registrato, il che ha causato enormi danni da erosione ai sentieri e problemi più gravi alle persone che vivono nelle aree interessate. Inoltre, come mountain biker, trascorriamo molto tempo nei boschi, all’interno di impianti forestali, come ad esempio buona parte dei boschi nel sud del Galles. La malattia del larice è un grave problema in questa zona, ma non possiamo fare molto per risolverlo se non lavare le nostre bici per ridurne la diffusione. Questo significa che molte delle foreste in cui ci sono dei sentieri hanno dovuto subire l’abbattimento di alcune piante, e questo problema riguarda l’intera regione. Da quello che ho letto, la malattia del larice non è strettamente legata al cambiamento climatico, ma contribuisce a mostrare l’effetto devastante che possono avere le malattie delle piante; inoltre, il cambiamento del clima e delle condizioni ambientali avrà un impatto sulla malattia che non siamo in grado di prevedere.
In che modo, secondo te, è possibile rendere la mountain bike più inclusiva per tutti?
Credo che la rappresentazione sia molto importante. Non puoi essere ciò che non riesci a vedere, o perlomeno vedere altre persone con cui possiamo immedesimarci lo rende più stimolante o realistico. Che si tratti di questioni di genere, etnia, capacità fisiche o classe, o anche solo di un modo di vivere. Credo che mostrare che qualsiasi stile di vita è il benvenuto e che tutti sono in grado di fare attività all’aria aperta sia davvero positivo. Nella mountain bike, impegnarsi per rendere questo sport più rappresentativo nella popolazione in generale, significherebbe fare un grande passo nella direzione giusta.
Una domanda sui prodotti: quali sono i tuoi preferiti e perché?
Utilizzo a rotazione cinque capi. La giacca e i pantaloni Dirt Roamer e per le uscite invernali i pantaloni impermeabili mi semplificano davvero la vita. Porto sempre con me gli strati intermedi Capilene, per quando fa più freddo. Poi c’è l’Airshed pullover, che è progettato per il trail running ma si è rivelato fantastico anche per la bici. Adoro gli strati che posso portare agevolmente con me per indossarli quando faccio una pausa o in caso di peggioramento del meteo.
Qui tutte le informazioni sulla nuova linea MTB di Patagonia
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[foto: Samantha Saskia Dugon]