Tristezza perché Davide era uno di noi.
Rabbia per come ce lo hanno portato via.
Non avrebbe mai appeso la bici al chiodo, Davide Rebellin, che dei suoi 51 anni ne ha passati più di 30 in sella a una bici. In una recente intervista, traspare tutto il suo amore per il Ciclismo: “Cosa mi resta dopo il ritiro? La felicità per una carriera splendida. Sono sereno, sto già guardando avanti e continuerò a pedalare. Con la Work Service vogliamo puntare sul Gravel. Vorremmo creare un team per partecipare agli eventi più importanti dove magari correrò anche io, per divertimento… Pedalerò ancora perché è ciò che amo fare e non ho intenzione di smettere“.
E proprio i Mondiali Gravel di Vicenza sono stati la sua ultima Gara. Lì, in prima fila accanto a Sagan e van der Poel, che potrebbe essere suo figlio, a vivere una passione così forte che a 51 anni non ti fa sentire le gambe che bruciano.
Ce lo hanno portato via nel modo peggiore, uccidendolo sulla strada. Come troppo e sempre più spesso accade.
Oggi, però, non è il momento delle invettive e delle polemiche, oggi bisogna solo essere tristi e vicini a chi gli voleva bene. Ma da domani l’indignazione deve essere forte e comune, per chiunque muoia in strada su una bici, un rider con la pizza nello zaino o un campione che si allena, un padre che va al lavoro o un amico che è uscito la domenica.
Non possiamo continuare a piangere morti che dovrebbero ancora essere in sella alle loro biciclette.