Arrampicata, ski touring, trail running, trekking, ciclismo e MTB, fra le nostre attività su questa meravigliosa isola non potevano mancare la speleologia e il canyoning. Elena e Andrea lo hanno fatto per noi.
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Guardo la nave attraccare appoggiata alla balaustra del ponte superiore, una di quelle che hanno il superpotere di sembrare sempre tinteggiate il giorno prima. È un maggio fresco, di quelli che si prendono i loro tempi senza fretta di andarsene in vacanza. Sul porto di Bastia si affacciano una manciata di case coloratissime, che gettano i loro verdi e i loro rosa nell’acqua, di poco sovrastate da un nuvolone nero che ci copre il panorama sulla montagna appena sopra la città.
Vista da qui, la Corsica appare priva di spazi pianeggianti; i promontori si allungano verso l’acqua come le tozze dita di una mano chiusa a pugno e si inerpicano subito a colline e montagne. Una volta sbarcati, strade tortuose e immerse nel verde ci allontanano dalla costa e ci portano verso Corte, nel bel mezzo dell’isola. Io e Andrea siamo qui in visita, a bordo di una Panda degli anni ’90 carica di attrezzatura e macchine fotografiche, per scoprire ciò che la Corsica ha da offrire da un punto di vista molto lontano dall’immaginario comune: le grotte e i canyon che si aprono nelle viscere di questa terra. Ma andiamo con ordine.
L’ultima volta che sono stata nella Valle della Restonica, che si apre appena alle spalle della città di Corte, ero alta poco più di un metro. Quindi approfitto di un mezzo pomeriggio libero per avventurarmi a risalire il fiume che dà il nome alla valle, che dovrebbe terminare in un lago incastrato tra le pareti di granito, di cui vari amici mi hanno cantato le lodi. Tuttavia, anche qui è stato un inverno abbastanza freddo e nevoso, e adesso che le temperature si sono alzate siamo in piena stagione di fusione. L’acqua scende giù dai versanti impetuosa, e dopo essermi tolta le scarpe un paio di volte dovrò arrendermi all’evidenza: ho sbagliato il lato del fiume da costeggiare. In mezzo alla corrente c’è un gigantesco masso di granito, immerso nell’ultimo sole della giornata, che mi sembra il luogo perfetto per una pausa prima del ritorno e della cena con le specialità dell’isola, prima fra tutte la zuppa corsa.
La grotta di Lano
La sveglia suona presto: ci aspetta Frèdèric, la Guida che ci porterà alla scoperta della Grotta di Lano. Capelli grigi e occhi chiari, è un concentrato di energia allo stato puro, e la sua espressione tradisce lo stupore quando usciamo dal parcheggio con la Panda: un grande classico per degli italiani.
La grotta si trova nella regione della Castagniccia, poco distante da Corte, una delle zone più popolate dell’isola prima della Prima Guerra Mondiale. “Dopo il conflitto il numero di abitanti si è dimezzato, per i reclutamenti e perché la gente si trasferiva in città. Era un popolo a vocazione agropastorale, si coltivava di tutto, tra cui le castagne che danno il nome alla zona, ed era anche molto sviluppato l’allevamento” racconta Frèdèric.
“Queste terre sono abitate fin da tempi antichissimi: in una grotta vicina a quella che stiamo per visitare è stato ritrovato uno scheletro di 3000 anni fa. Si tratta di un luogo molto favorevole agli insediamenti umani, perché c’è acqua, legno, caverne dove ripararsi e terra fertile per coltivare”. Tra un racconto e l’altro il trekking verso l’ingresso scorre veloce, mentre la guida ci mostra tutti gli ingressi che si aprono in queste montagne. La Corsica è un’isola composta prevalentemente da granito, roccia in cui lo sviluppo di grotte carsiche è molto difficile, ma qui si trova uno spesso strato di calcare inclinato in cui l’acqua si è aperta la strada, dando forma a gallerie come quelle di Lano.
Queste terre sono abitate fin da tempi antichissimi: in una grotta vicina a quella che stiamo per visitare è stato ritrovato uno scheletro di 3000 anni fa
Davanti all’ingresso ci vestiamo da speleologi, passiamo attraverso un piccolo cancello e ci inoltriamo nel buio della grotta. Si entra in un mondo celato alla luce del sole, percorrendo le carie scavate nella montagna e seguendo la strada che ha aperto l’acqua decine di migliaia di anni fa. È un susseguirsi di salette, una dietro l’altra, finché raggiungiamo un punto dove non è il calcare a fare da pavimento e da tetto: poggiamo i piedi su una roccia verde, segno che l’acqua ha scavato sul contatto tra due formazioni geologiche diverse. Arrampicandoci su e giù per i massi che occupano il pavimento arriviamo negli ambienti più concrezionati: qui siamo circondati da vari livelli di stalattiti e stalagmiti, depositate goccia dopo goccia.
Da speleologa posso dire che uno dei momenti più belli delle giornate in grotta è uscire e rivedere il sole, (o le stelle, a seconda dell’orario) e anche questa volta non è diverso. Fuori è ancora giorno, tornano i colori dei ciclamini e l’odore di terra bagnata a ricordarci che è primavera.
Il canyon di Bocognano
All’alba del giorno dopo siamo di nuovo in strada, e puntiamo verso Sud. Intorno a noi le montagne sono ancora bianchissime, e non passano cinque minuti senza vedere un canyon o una parete che fanno venire voglia di fermarsi – almeno per essere guardati meglio.
Raggiungiamo Frèdèric a Bocognano, e ci indica subito una cascata sulla montagna che abbiamo di fronte: “Quella di solito è in secca: adesso c’è l’acqua bianca, e quando usciremo dal canyon a mezzogiorno la portata sarà ancora maggiore, comunque il fiume lo troveremo bello pieno”. Sacchi in spalla e iniziamo a salire verso l’imbocco del canyon della Richiusa, sudando nei pantaloncini della muta sotto il sole della mattina. Già dall’avvicinamento la forra appare in tutta la sua imponenza, con pareti di granito alte decine di metri, in alcuni punti piuttosto strette.
Dopo la salita immergersi nell’acqua gelata è un piacere: senza neanche accorgermene sto già scivolando giù per il primo toboga. Il mio rapporto con l’acqua allo stato liquido non è dei migliori, ma queste trasparenze e queste forme di erosione nella roccia mi fanno dimenticare le mie ostilità. A un certo punto Frèdèric mi dice: “Questo è un salto un po’ più alto, se vuoi mettiamo la corda ma è bello tuffarsi e cadere proprio vicino alla cascata…” Decido di buttare il cuore oltre l’ostacolo: mi stacco dalla corda e dopo qualche secondo di esitazione mi tuffo più lontana possibile dal mulinello, ingerendo una considerevole quantità di acqua dal naso e dalla bocca. Riemergo un po’ tramortita, ma con una bella scarica di adrenalina addosso. Il gioco prosegue tra scivoli, calate e salti, e quando usciamo dal canyon sembra passato un attimo. In realtà siamo dentro da poco meno di tre ore, e le mie mani vizze lo confermano.
Decido di buttare il cuore oltre l’ostacolo: mi stacco dalla corda e dopo qualche secondo di esitazione mi tuffo più lontana possibile dal mulinello, ingerendo una considerevole quantità di acqua dal naso e dalla bocca.
La terra si allontana immersa nella bruma del mattino, e torna la sensazione che ho avuto attraccando: che quest’isola sia tutt’altro che scontata. È sinuosa, ricca di anfratti che si svelano solo all’occhio attento, e al viaggiatore che si prende il tempo di scoprirli andando oltre le ben più rinomate spiagge. Mi piace pensare che l’acqua di Bocognano arrivi diretta qui, al porto di Bastia, e che continuando a scendere il fiume solo il tempo ci avrebbe fermato dallo sbarcare a fianco al traghetto. Qui è il mare a riassumere tutto, è lui che sparge il suo salmastro nell’aria, facendolo giungere fino alle vette più alte, e dando alle cose quell’inconfondibile gusto isolano.