“Il viaggio degli Argonauti”. il nome di una leggendaria avventura ai confini del mondo conosciuto, divenuta una delle narrazioni più note della mitologia greca. Giasone, accompagnato da altri mitici eroi a bordo della nave Argo, affronta ogni tipo di pericolo e di imprevisto per conquistare il vello d’oro e riportarlo in patria. Chiamare il nostro viaggio di arrampicata con questo nome potrebbe sembrare quindi un po’ esagerato, in realtà ci siamo solo ispirati al nome di una delle vie che abbiamo scalato durante il nostro viaggio in Grecia: “Taxidi ton Argonafton”, Il viaggio degli Argonauti, appunto. Ma partiamo dal principio…
Testo di Giacomo Veduti
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A differenza degli Argonauti noi non avevamo qualcosa da conquistare, un obiettivo da raggiungere. La nostra unica intenzione era quella di arrampicare il più possibile in questi luoghi che per la prima volta avevamo la fortuna di visitare. Le nostre “spedizioni” sono sempre all’insegna dell’essenziale e del cavarcela con poco. Vivere all’aria aperta dalla mattina alla sera, e anche le notti, visto che avevamo deciso di passarle in tenda. E poi scalare tanto, principalmente vie di più tiri, ma anche visitare alcune falesie famose.
Per questa avventura in Grecia siamo in cinque, e arrivati ad Atene affittiamo due macchine riempiendo i bagagliai con gli zaini. Corde, caschi, imbraghi e attrezzatura occupano gran parte dello spazio a disposizione, in più abbiamo portato tende, materassini gonfiabili e sacchi a pelo.

La nostra prima tappa è Leonidio, una piccola città sulla costa del Peloponneso. Questa località si affaccia sul mare, ma alle sue spalle si alza una stupenda parete di calcare rosso, il monte Parnon. La roccia si infuoca quando all’alba e al tramonto i raggi del sole la colpiscono di traverso, e il rosso spicca ancora di più rispetto al blu del cielo e al bianco delle pareti delle case. Bianco e blu sono anche i colori dell’enorme bandiera greca che sventola in cima alla parete.
Una linea evidente, all’incirca al centro della parete, in prossimità di una sorta di pilastro, invita lo sguardo di ogni climber. E infatti scopriamo che proprio là sale la via “Pillar of Fire”, dove alla mattina una linea netta separa la parete scura, ancora in ombra, da quella illuminata dal sole.
La cittadina di Leonidio è molto ospitale e da qui partiamo per le scalate dopo un tipico “té di montagna” e una passeggiata nel mercato locale. Oltre a “Pillar of Fire” saliamo su altre due multipitch: “Mignonette” e “KAPI reborn”. Un giorno invece lo dedichiamo alle falesie chiamate “Twin Caves” e “Mars”.

Sul settore “Mars” e le sue fantastiche formazioni rocciose avevamo già letto qualcosa prima di partire, quello che non ci aspettavamo era di trovarci qui nelle condizioni metereologiche più adatte a scalarle.
Il 24 aprile infatti i cieli della Grecia sono diventati arancioni per effetto della polvere trasportata da una tempesta di sabbia nel nord Africa. I sensori delle fotocamere sono impazziti e anche per i nostri occhi tutto appare diverso. Il fuoco acceso da un contadino nel campo sottostante sembra avere fiamme completamente bianche. La sera stessa sul notiziario trasmesso su una piccola tv nella taverna in cui ceniamo, trasmettono immagini di Atene avvolta in una luce arancione. “Atene come Marte” dicono le notizie. Mars, appunto!
Seconda tappa: Varasova. Una montagna di 917 metri a picco sul mare, affacciata sul golfo di Patrasso. Proprio qui abbiamo scalato “Il viaggio degli argonauti”. Essendo in cinque procediamo lentamente: una cordata da due e una da tre. Perciò decidiamo di partire prima dell’alba. Con la luce delle frontali prepariamo una colazione sostanziosa e poi ci incamminiamo verso la parete. Saliamo i primi 8 tiri molto belli che portano a una grossa cengia. Da qui proseguiamo a piedi risalendo le rocce lungo un enorme colatoio, per raggiungere il secondo tratto di arrampicata vera e propria. Salendo ci sembra quasi di attraversare mondi diversi, complici anche le temperature e le condizioni metereologiche che cambiano notevolmente.

Siamo partiti letteralmente dalla spiaggia, con le onde del mare a pochi metri dalle tende. Ma quando raggiungiamo la cima siamo in un ambiente montano, dove il vento soffia forte e le nuvole avvolgono spesso la cima del monte Varasova. Il panorama è stupendo e spazia a 360 gradi. Davanti a noi si apre il golfo di Patrasso e ancora più in là, all’orizzonte, si estende il Peloponneso. Resta ancora da affrontare il rientro, che abbiamo deciso di fare a piedi, dovremo percorrere tutti i 900 metri di dislivello anche in discesa. La pianura sottostante, così piatta e lambita dal mare, sembra quasi un’illusione ottica in contrasto con l’altezza delle pareti che abbiamo scalato.
Resta da scoprire l’ultima tappa del nostro viaggio, alla quale abbiamo riservato più tempo rispetto alle altre perché da quanto abbiamo letto è un posto speciale. Ma solo quando arriviamo lì, davanti alle imponenti torri di Meteora, capiamo davvero quanto sia spettacolare. Il fascino dei monasteri arroccati sulle cime più alte, oppure incastonati nelle cavità della roccia, si unisce all’aspetto ancora incontaminato e selvaggio della natura circostante. I sentieri, spesso poco battuti, si snodano nella boscaglia ai piedi delle torri, alte anche centinaia di metri. Nella mitologia e nella letteratura greca non ci sono riferimenti a Meteora, ma sarebbe stata l’ambientazione perfetta per leggende come quella degli Argonauti. Il nome deriva dal greco μετά (met.) “in mezzo a” e ἀείρω (ae.rō) “aria”, e significa quindi “sospeso nell’aria”.

Le conformazioni rocciose sono molto particolari, composte da arenaria e conglomerato, e anche per questo motivo arrampicare qui è un’esperienza unica. Una miriade di sassi e ciottoli di varie dimensioni sono incastonati nelle pareti e costituiscono praticamente gli unici appigli a disposizione.
Per la nostra prima salita scegliamo una via ben chiodata, perché sappiamo che un’altra caratteristica dell’arrampicata a Meteora è la grande distanza tra i chiodi. Saliamo sulla torre conosciuta come “The Grail”, dove facciamo amicizia e impariamo qualche “trucco del mestiere” da una simpaticissima guida locale. Dopo una calata mozzafiato non vediamo l’ora di salire su un’altra torre. Nei giorni successivi saliamo su “The Bell”, “Doupiani”, “Devil’s Tower”, “Dimitrios Rock” e “Holy Ghost”. Su quest’ultima scaliamo la via “Pillar of Dreams”, il pilastro dei sogni, di circa 260 metri. Infine non può mancare una salita su “Adrachti”, più comunemente nota come “Spindel”, una sottile guglia di circa 45 metri. Sarà la nostra ultima arrampicata in Grecia.
Ci troviamo tutti e cinque sulla cima di questa esile struttura, dove lasciamo la nostra firma sul libro di vetta. Inizia a soffiare un forte vento, le luci della cittadina di Kalambaka in fondo alla valle iniziano ad accendersi, mentre il sole, sceso dietro all’orizzonte, tinge il cielo di un arancione intenso. Attrezziamo la calata in corda doppia e uno ad uno scendiamo nel vuoto, sempre più buio. Le corde sventolano quasi in orizzontale, spinte dal vento che infuria. Quando è il mio turno per scendere il cielo è ormai di quel blu scuro che preannuncia la notte, anche se si distinguono ancora i profili delle torri circostanti. Giunto quasi a metà delle corde mi fermo un attimo per assaporare pienamente quel momento: sono letteralmente “sospeso nell’aria”, a Meteora.
