Pochi, storici, brand outdoor sono rimasti di proprietà di famiglia, e uno di questi è Millet. In occasione della firma del rinnovo della collaborazione fra il brand e la Società Guide del Cervino, siamo andati ad intervistare Romain Millet.
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Fondata nel cuore della Alpi francesi ad Annecy, dove oggi giorno sviluppano i più prestigiosi brand internazionali dell’Outdoor, Millet nasce nel 1921 producendo tascapane e poco dopo i primi zaini da montagna. Il brand dal 1945 inizia a legarsi indissolubilmente ai nomi di grandi alpinisti e grandi imprese, da Louis Lachenal e Maurice Herzog sull’Annapurna nel 1950, a Walter Bonatti e René Desmaison sulla Nord delle Grandes Jorasses nel 1963, a Reinhold Messner sull’Everest nel 1978 con la prima giacca in Gore-Tex. Negli anni Millet diversifica la sua offerta, cimentandosi con l’abbigliamento dal 1977 e spaziando dall’alpinismo, all’arrampicata, al trekking, fino al trail running nel 2023.
L’azienda dal 1973 passa di proprietà a gruppi internazionali, fino al 2021. In quell’anno Romain Millet, pronipote del fondatore, diventa CEO del brand e assieme allo zio Jean-Pierre riprende le redini del marchio francese, riportandolo in famiglia, a quella passione e con una visione che sapranno proiettarlo nel futuro.
Oltre al legame con i grandi nomi dell’alpinismo Millet si è legata alle storiche Società delle Guide: Compagnie des Guides de Chamonix nel 2010, Guide Alpine di Grindelwald nel 2016, Guide de Montagne Hakuba (Giappone) nel 2017 e Società Guide del Cervino nel 2018.

L’intervista a Romain Millet
Ciao Romain sei stato impegnato con diversi ruoli nel gruppo (Export Lafuma, Marketing Oxbow) dal 2005 al 2013 e diventato CEO nel 2020. Come hai vissuto l’essere parte della famiglia Millet e quale contribuito hai cercato di dare dalla nomina a CEO 4 di anni fa?
Non era previsto che serei diventato il CEO dell’azienda. Sono nato nel 1979 ma già nel 1973 l’azienda non era più proprietà della famiglia, era stata venduta. Non sono cresciuto con qualcuno che mi diceva: “tu avrai un certo ruolo”, non è andata così.
Ho avuto la possibilità di studiare e poi di lavorare per molte altre aziende, nel settore bancario, come consulente, ho vissuto sei anni in Cina, dove sono stato CEO per un importante brand di LVMH.
La possibilità di vivere e lavorare in altri paesi, unita alla passione per la montagna e il brand ereditate da mio nonno, mi hanno consentito di accumulare il potenziale adatto a ricoprire questo ruolo. Penso di avere un know-how diverso e più utile di quello di un manager specializzato nell’outdoor cresciuto solo in quel settore, e unito al sentirmi parte della storia di Millet, all’incarnarne i valori originari e ad una grande energia, sono sicuro possa rendere solido il brand negli anni a venire.

Alcuni brand outdoor, ad un certo punto della loro crescita, hanno scelto di farsi conoscere oltre al loro mondo di appartenenza (abbracciando il mondo dell’urban style, del fashion…), guadagnando e perdendo qualcosa al tempo stesso. E’ una strategia che avete sposato o sposerete?
Chiaramente no. Non siamo un brand fashion, per nulla. La nostra missione è portare le persone a vivere un sogno che ha a che fare con la montagna. Oggigiorno tutti usano uno zaino per andare in ufficio o in aeroporto, mentre 20 anni fa si usavano solo valigette in pelle.
La stessa trasformazione ha riguardato le calzature, prima tutti usavano scarpe in cuoio, magari di brand del lusso, mentre oggi tutti indossano scarpe sportive. Spesso usiamo scarpe con suola Vibram e membrana Gore-Tex per andare in ufficio, lo facciamo per una ragione funzionale.
Abbiamo notato che molte persone usano i nostri prodotti quotidianamente, ma non significa che li abbiamo realizzati per quello scopo. Non è questione di essere favorevoli o contrari a priori, è una scelta che deriva da ciò che siamo e dagli obiettivi che ci poniamo. Siamo una piccola azienda e non sarebbe sostenibile operare nel mondo del fashion, così soggetto a picchi e ribassi. Abbiamo bisogno di stabilità, di una crescita misurata e costante. Quello della moda è un mondo con consumatori diversi, diversi canali distributivi, una diversa comunicazione, e alcuni brand sono diventati così globali che senza perdere identità hanno guadagnato grande popolarità.
Ma gli obiettivi della moda sono troppo a breve termine, troppo rischiosi per noi. Per noi guadagnare soldi non è l’obiettivo, è lo strumento da investire nella crescita e nell’adattamento ad un mondo e una montagna che cambiano, per consentire a chi la ama di continuare a realizzare i propri sogni, anche fra 50 anni.

In termini di categorie di prodotto negli anni vi siete evoluti costantemente. Dalla produzione di zaini alla prima linea di abbigliamento, alla gamma trail running e skyrunning. Cosa vi identifica maggiormente agli occhi del consumatore e quali discipline (attività sportive) stanno trainando ora il settore Outdoor?
Fondamentalmente siamo stati per 60 anni un’azienda di zaini, dal 1920 al 1980, fino a quando Messner lanciò la nostra prima giacca Gore-Tex. Lo zaino è il prodotto chiave per noi, ovviamente è poca cosa rispetto all’abbigliamento, ma è lì che portiamo più innovazione. Da anni ogni volta che lanciamo sul mercato uno zaino risulta il più innovativo del suo segmento.
E’ difficile dire quali siano le discipline trainanti nell’outdoor, l’alpinismo e lo sci hanno ancora il loro seguito, lo scialpinismo sta vivendo un momento di contrazione dopo l’esplosione post covid. L’arrampicata è in crescita, soprattutto quella indoor, ma è un’attività assimilabile al fitness, che esula quindi dall’outdoor.
il trail running si sta sviluppando molto, e ancor più il trekking, soprattutto fra le donne le famiglie.

Avete recentemente affidato a Ursus Sport la rappresentanza del brand per tutta l’Italia, cosa significa, che obiettivi vi ponete nel nostro paese e quali sono i vostri mercati strategici?
Si, recentemente in Italia abbiamo affidato la rappresentanza unica ad Ursus Sport, Paolo Bernardi che già da 25 anni si occupava del Trentino-Alto-Adige e Friuli-Venezia-Giulia ha fatto un ottimo lavoro e ci siamo convinti ad estendere la collaborazione su tutto il territorio.
L’Italia è diventata, probabilmente con il Giappone, il nostro secondo mercato, dove la Francia è il principale ovviamente. Qui, stiamo investendo parecchio nel business diretto al consumatore, per questo abbiamo aperto un negozio a Torino, ne abbiamo uno a Cortina e un altro a Bolzano.
Ma al tempo stesso siamo presenti in catene come Sportler e DF Sport Specialist.

Avete l’ambizioso obiettivo di ridurre la vostra impronta di carbonio del 25% entro il 2030, che progressi state facendo?
E’ un percorso complesso ma sta portando dei risultati. Ad esempio stiamo lanciando un nuovo zaino per il trekking in tutte le stagioni, un best-seller, l’Ubic. L’evoluzione del prodotto, durata 3 anni, ha consentito di ridurre la Co2 del 30%, cambiando il tessuto, il numero di pezzi che lo compongono, il pannello posteriore e un nuovo processo di tintura.
Poi abbiamo adottato, come tutti nel settore, il nuovo tipo di Gore-Tex, chiamato EPE, una membrana PFAS Free, che non riduce tanto le emissioni di CO2 quanto aiuterà a non inquinare e sarà anche più durevole. Abbiamo avviato anche la realizzazione di una serie di consorzi fra altri brand e aziende chimiche per cercare di riciclare i tessuti che già sono sul mercato. Il petrolio è una risorsa in esaurimento e non possiamo pensare di poter sfruttare materie prime a questo ritmo.
Siamo sulla buona strada per ridurre l’impronta di questo 25%, non so se riusciremo a farlo per il 2029 o il 2031 ma siamo sulla buona strada.

La vostra storia è stata da sempre legata a quella di grandi ambassador (Messner, Bonatti Louis Lachenal, Patrick Edlinger, Christophe Profit, Jean-Chrisophe Lafaille, Marco Siffredi, Symon Welfringer per citarne alcuni) e più recentemente alle compagnie delle Guide. Cosa traete reciprocamente da questi rapporti di collaborazione?
Collaborare con professionisti del settore è in generale la garanzia di sviluppare prodotti di qualità.
C’è differenza però fra collaborare con un ambassador o con le Guide. Gli ambassador guardano alle performance, alla funzionalità ma in relazione al peso e minimalismo del prodotto, doti che non sempre interessando al consumatore. In pratica portano idee molto innovative ma non sempre vendibili.
Le Guide Alpine un giorno fanno scialpinismo e il giorno seguente arrampicata, un giorno ghiaccio e il giorno seguente misto, sono in montagna 200 giorni l’anno e ci forniscono informazioni utili sull’ambiente alpino a 360°, poi ovviamente c’è un feedback sui prodotti: cosa è più funzionale, cosa dovrebbe essere più robusto o confortevole, cosa è meglio per il consumer, cosa è o non è versatile.
Quest’ultimo punto è importante perché la maggior parte dei consumatori non potrà permettersi una giacca diversa per lo scialpinismo, l’alpinismo e il trekking. Rispetto a 20 anni fa i consumatori sono molto più aperti ad attività diverse e per divertimento o per esigenze economiche diversificano ciò che fanno nel tempo libero, non di rado perciò durante una settimana bianca ora capita di sciare un giorno e ciaspolare quello successivo.

Siamo qui per presenziare alla firma che rinnoverà la collaborazione fra Millet e le Guide del Cervino. Che significato date a questo momento?
Abbiamo rinnovato il contratto con Società Guide del Cervino per i prossimi tre anni, un riconoscimento sia da parte di Millet che delle Guide del nostro valore reciproco.
