Chi acquista un prodotto non per forza deve essere considerato un consumatore, qualcuno preferisce considerarlo un utilizzatore consapevole di un prodotto frutto di un processo etico e figlio di valori, quel qualcuno si chiama AKU ed è una storica azienda calzaturiera italiana. Siamo stati a Montebelluna e ne è nata una riflessione.
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Industria e mercato
Le parole imprenditore, impresa, azienda, talvolta hanno ormai un’accezione se non negativa perlomeno pregiudizievole.
Siamo consapevoli che ogni prodotto che utilizziamo derivi da un processo produttivo ma l’idea di essere meri consumatori e che quel prodotto sia frutto di una catena di azioni pianificate, standardizzate, meccanizzate e generatrici di un’impronta più o meno marcata sull’ambiente, ci fa sentire sempre più sbagliati.
Quello della sostenibilità è un dibattito aperto, che giornalmente ci coinvolge a tutti i livelli e in cui tutti cerchiamo di figurare attori o comparse virtuose. Siamo tutti disponibili a rinunciare a qualcosa che riteniamo superfluo ma è il concetto stesso di superfluo che non ci accomuna.
Possiamo diventare asceti e rintanarci in una grotta, rifiutando le conseguenze del progresso, o rassegnarci a esserne parte, cercando però di orientare le nostre azioni verso ciò che almeno è il miglior compromesso.
L’industria dicevo, che sia quella pesante, automobilistica, manifatturiera, del turismo o alimentare, è il modello produttivo imprescindibile di una società globale la cui crescita demografica è passata dai circa 2.000.000.000 di individui nel 1927 agli 8.000.000.000 nel 2022. Tutto ciò che mangiamo, vestiamo o utilizziamo quotidianamente viene prodotto, trasportato e venduto su larga scala, consumando materie ed energia e producendo scarti.
Non solo, l’intero processo deve rispondere a un requisito di crescita. Una crescita dei ricavi, del benessere di imprese e individui. Ben inteso: benessere economico.
I concetti di crescita e benessere si scontrano con quello di rinuncia perché per natura ogni risultato, ogni conquista che otteniamo come individui o imprese diviene irrinunciabile, incedibile, qualunque sia, apparentemente, la moneta di scambio.
Consapevolezza e modelli
Eppure dovremo cedere, dobbiamo cedere, sta già succedendo. Il modello che abbiamo utilizzato fino a ora non è scalabile all’infinito e non pagare un piccolo prezzo oggi significherà solo pagarne uno più alto domani.
L’industria dell’outdoor è stata fra le prime a suonare un campanello d’allarme, d’altra parte è stata fra le prime a vedere l’effetto del cambiamento climatico. La natura è il suo mercato e senza di essa cesserebbe di esistere.
Sempre più aziende di questa filiera hanno investito in processi di ricerca su materiali riciclati, riciclabili, duraturi, produzioni meno energivore, campagne di consapevolezza al consumatore. Si sono date obiettivi a breve termine, senza aspettare le indicazioni di governi fintamente inconsapevoli e inadempienti. Hanno battuto questa strada grandi aziende come Patagonia e piccole realtà nazionali come AKU. Alcune aziende hanno aperto un dibattito o hanno acconsentito a parteciparvi.
“Parallelamente a questo però, in un contesto in cui i concetti di benessere, movimento anche in ambiente outdoor e voglia di libertà hanno fatto presa in un numero crescente di persone, una buona parte della filiera produttiva, distributiva e della comunicazione Outdoor ha spinto gli investimenti “oltre l’ostacolo”, con obiettivi di ricavo via via crescenti, e la “delusione” che ne è seguita.
Siamo sicuri che questo modello di business fosse applicabile anche al mondo dell’outdoor o piuttosto questo settore non è per natura così ricettivo a continue novità in termini di prodotto, eventi e sollecitazioni al consumo?
Questo dovrebbe essere un altro significato di sostenibilità. Sostenibilità della crescita, il contrario di una crescita drogata e incontrollata.“
Marco Melloni
Una visita in AKU
Visitare l’Headquarter e sede produttiva italiana di AKU è incredibilmente istruttivo, perché davvero ridimensiona l’idea preconcetta che un prodotto, nello specifico una calzatura, sia solo il risultato ultimo di un processo automatizzato, meccanizzato, serializzato. Visitare un’azienda di questo tipo ci fa ridefinire il valore del prodotto, legato alle persone che lo hanno realizzato e al tempo che è stato necessario per farlo.
Qui la dimensione artigianale e industriale è sfumata, perché se è vero che un’azienda come AKU distribuisce su scala globale fra Europa, Nord America e Asia, è vero che determinati prodotti, come le calzature da montagna di medio-alta gamma necessitano di un processo produttivo semi-artigianale.
Ogni prodotto passa dalle fasi di ideazione, disegno, modellistica, stampo e taglio delle componenti (elementi della tomaia, fodera, intersuola, battistrada, sottopiede, solette, accessori), assemblaggio, rifinitura, controllo qualità, imballaggio, stoccaggio e spedizione.
Ogni prodotto passa fra le mani di abili artigiani, capaci di serializzare la cura di un prodotto che un tempo veniva realizzato in decine o centinaia di unità e oggi in diverse migliaia.
Camminando lungo i capannoni di AKU a Montebelluna, Vittorio Forato (MKT Manager dell’azienda), la mia guida, mi mostra tutte le fasi produttive, mi fa toccare con mano le decine di componenti di una calzatura da montagna, mi rende consapevole dell’attenzione e manualità degli artigiani nonché del valore di ogni singola persona che lavora in azienda.
Quando nasce una nuova calzatura, mi spiega Vittorio, il designer ne abbozza il modello in due dimensioni e successivamente il modellista deve convertire quel disegno su una forma (le forme sono riproduzioni di un piede tipo e ogni azienda custodisce gelosamente le proprie n.d.r.), aiutandosi con del semplice scotch di carta e un pennarello.
Quel modello verrà successivamente digitalizzato in 3d e prenderà vita il disegno vero e proprio della scarpa, con tutti i suoi elementi, nonché lo sviluppo delle taglie.
La figura del modellista, continua Vittorio, è fondamentale per un’azienda calzaturiera che ambisce a prodotti di qualità, perché è solo la sua manualità ed esperienza che può dar vita a una buona calzatura: comoda, funzionale e progettata per durare nel tempo. Ma c’è solo una scuola di formazione per Modellisti Calzaturieri in Veneto ed è una figura professionale sempre più difficile da trovare.
Sebbene quindi un’azienda come AKU sia dotata anche di impianti di ultima generazione, come la nuova linea produttiva per i modelli di calzature con tecnica a Iniezione, capace di rilasciare 480 paia di calzature in un turno di 8 ore, sebbene affianchi alla sede produttiva di Montebelluna anche una sede in Romania con 180 addetti e una produzione presso un fornitore in Vietnam per i modelli fast hiking, rimane una realtà a vocazione artigianale, capace di combinare l’heritage di un Made in Italy e Made in Montebelluna con una visione consapevole del presente e proiettata al futuro.
Potrebbe sembrare un’incongruenza che, a fianco del reparto produttivo, una sezione dell’azienda si occupi anche dell’analisi e dell’eventuale ricondizionamento, quando possibile, delle calzature che i clienti inviano tramite il Servizio di Riparazione. Al contrario è parte della filosofia AKU, perché eliminare se si può riparare? La durata di un prodotto è il primo requisito per limitarne l’impatto sull’ambiente.
“Ciò che respiro qui è in definitiva un modello di impresa consapevole, attento, in cui la misura regola le dinamiche di business.“
Marco Melloni
Quello relativo alla sostenibilità, in ambito outdoor come al di fuori di esso, è un discorso dalle mille sfaccettature, che coinvolge tutte le realtà e i territori, e mette in evidenza notevoli contrasti. Le montagne attorno a Montebelluna sono il luogo dove l’industria calzaturiera dell’outdoor come AKU può vedere in primis il cambiamento.
La montagna è cambiata negli anni, sono cambiati i servizi offerti al turismo ed è cambiata la clientela, ma ciò ha un costo altissimo in termini di trasporti, energia, reperimento delle risorse, produzione di rifiuti. Le contraddizioni sono evidenti: impianti di risalita vengono rinnovati anche dove ormai nevica poco e avrebbero l’ambizione di movimentare un numero sempre crescente di sciatori, su porzioni sempre più ampie di territorio naturale, rifugi che propongono menù da una stella in ambiente di design si contrappongono ad altri che, a causa della composizione del suolo su cui si trovano, dell’isolamento e della riduzione del volume dei ghiacciai, fanno sempre più fatica ad approvvigionarsi dell’acqua per i servizi essenziali.
Abbiamo diritto a pretendere un servizio sempre migliore? Abbiamo necessità tutti di vivere qualsiasi esperienza, come sciare o raggiungere una cima di 3.000 m senza essere alpinisti? Ci è necessaria una giacca solo perché di diverso colore?
Quale prezzo siamo disposti a pagare? E siamo sicuri che sarà solo di natura economica?
Vittorio, che non è il proprietario di AKU, ma potrei definirlo per certi aspetti il portavoce dell’azienda per cui lavora, ben riflette tutta la consapevolezza della realtà in cui opera e del mondo in cui viviamo, e come l’azienda stessa tramite le proprie azioni comunica, senza toni sensazionalistici o per proclami, certo delle domande e propositivo nelle risposte.
“Azzerare la nostra impronta” mi dice, “come individui o come aziende non è possibile, ma è importante essere consapevoli dell’impatto che abbiamo, e fare il possibile per ridurlo al minimo, reagendo in modo responsabile”.
Consapevolezza, conoscenza, misura, responsabilità.
Forse avere ben chiari questi concetti può essere il primo passo per condurci lungo il percorso del cambiamento che ci attende e che, magari senza rendercene conto, abbiamo già imboccato.