A inizio primavera abbiamo pubblicato un post che vi è piaciuto tanto, “5 cose più una che l’industria della MTB dovrebbe cambiare”. Quindi, giusto perché ci piace sollevare un vespaio di tanto in tanto, abbiamo pensato di guardarci un po’ allo specchio, scovando alcuni errori che abbiamo fatto, noi e i nostri colleghi di altri media cartacei e/o virtuali. Speriamo che questo listone vi piaccia come il precedente…
1. I marchi di bici hanno già il loro ufficio marketing
Partiamo a bomba. A volte ci scappa, l’ammettiamo. A noi come ad altri. Eh sì, perché vedere uscire lo stesso comunicato stampa, con lo stesso testo e le stesse foto, lo stesso giorno alla stessa ora (quando c’è un embargo imposto – ndr), è tutto tranne che interessante e appagante per il lettore.
Il giornalismo è forse altro… sì, forse, perché in tempo di influencer & youtuber con i loro post e video che generano hype destinati a creare tantissima partecipazione subito ma a durare poco più di un battito di ciglia, dove è finito l’interesse per i contenuti tecnici approfonditi, i veri scoop, le anticipazioni dai campi gara, ma soprattutto per la passione per la MTB condivisa e trasmessa con/ai lettori?
Le aziende ci pagano la pagnotta, con le loro inserzioni pubblicitarie combinate con i proventi delle vendite in edicola – per noi e per i pochi altri rimasti nel mondo del cartaceo – ma dovremmo lavorare soprattutto con e per voi.
2. Non siamo la fanzine del fenomeno di turno
Belli i nuovi video di MacAskill e di Wibmer! Giusto per citare i biker che sono usciti fuori dalla nicchia del settore per diventare fenomeni globali. Ma solo perché i loro edit sono i migliori della settimana non significa che diventi necessario presentare ogni loro singola impresa. Ci sono un sacco di altri piccoli e grandi nomi nel mondo del ciclismo là fuori che meritano attenzione.
Vale la pena di parlare di video solo quando esce realmente fuori dal calderone di Youtube, non siamo il loro ufficio stampa o la loro fanzine (sinceramente non so cosa sia peggio – ndr), ma un magazine che fa selezione equilibrando qualità e quantità (la prima sempre sulla seconda, in ogni caso).
Giusto agli influencer/youtuber interessano i follower e i like… (vedi punto 1)
Loam For The Holidays from Kona Bikes on Vimeo.
Un impegno concreto: meno shredit su Youtube e stories su Instagram, e più attenzione per i lettori!
3. Non siamo miliardari
Sembra quasi che gli appassionati di MTB abbiano tutti il conto in banca e il garage di Bruce Wayne, riempito però di bici, ricambi, attrezzatura, abbigliamento e accessori di primissima qualità con cui giocare.
È bello chiacchierare su quale trasmissione a 12 velocità è la migliore in assoluto, così come confrontare ruote in carbonio, o valutare pregi e difetti di impianti frenanti ricavati dal pieno. Ma una volta finita la discussione con gli amici di turno, la prospettiva non è certo quella di uscire a pedalare su una full suspended da enduro realizzata per lo più nella nobile fibra tra telaio e componenti e sospensioni elettroniche… La maggior parte di noi pedala una bici in alluminio con trasmissione a 11 velocità, quando va bene.
Dobbiamo smetterla di guardare al mountain biking ignorando il prezzo delle cose. Nessuno compra una MTB nuova ogni anno (tranne pochi fortunati). Come possiamo fare una comparativa di full da XC di alta gamma quando per acquistare un modello intermedio l’opzione più praticabile è un finanziamento? O parlare di ruote Super Boost quando gran parte delle mountain bike circolanti è ancora con posteriore da 142 mm e magari con ruote da 27,5″?
Forse sarebbe meglio provare più bici d’ingresso sul mercato e meno di altissimo livello con prezzi alla portata di Bobby Axelrod, fermo restando che i riferimenti del mondo MTB per design e contenuti tecnologici devono avere la giusta considerazione.
4. Più attenzione alle donne
Basta ignorare il pubblico femminile. Ci sono un sacco di biker e atlete là fuori, quindi perché appaiono poco sulle pagine dei vari media cartacei e online? Molte aziende producono bici e accessori specifici, e meritano lo stesso spazio riservato a prodotti “unisex”, per far crescere insieme il movimento femminile a ruote artigliate.
Non ricordiamoci che esistono ragazze appassionate di bici solo quando vincono medaglie di vario colore, hanno un canale Instagram ricco di contenuti che esulano dal mondo bici (“tira più un …”, ci siamo capiti – ndr), o perché la zip della maglia era tirata giù in gara…
5. Più attenzione all’ambiente
Cospargiamoci il capo di cenere. Ignoriamo l’impatto ambientale del nostro sport, considerando che la bici sia il mezzo di trasporto ecologico per eccellenza. Pensate solo all’impatto delle materie prime utilizzate, agli scarti nella lavorazione del carbonio e dell’alluminio, per non dire di tutti i materiali plastici, o ancora del packaging. Vogliamo poi parlare di tutte le volte che carichiamo la bici in macchina per andare a girare altrove?
Ecco, forse è meglio parlare di più di quei brand che usano materiali riciclati, ottimizzano i processi produttivi e logistici (come Cannondale per gli imballaggi), e in ogni caso trovare il giusto equilibrio – eh sì, sempre quello – tra pedalate dietro casa e viaggi più o meno lunghi in auto. Il futuro è green, per noi e per chi verrà dopo di noi.
6. Vivere il presente
John Tomac è stato un mito della MTB delle origini in un’epoca in cui la specializzazione era ancora lontana. Così come lo sono stati in era più moderna Steve Peat, Julien Absalon, e Paola Pezzo, giusto per citarne alcuni. Ma continuare a ricordare i giorni di gloria di questi atleti, che portano con sé un ingombrante bagaglio fatto di cantilever, elastomeri microcellulari, e manubri larghi poco più di 50 cm, va bene fino a un certo punto.
Così come continuare a citare Coppi, Bartali, Gimondi e Pantani quando il discorso verte sul ciclismo da strada. Viviamo nel presente, tenendo sempre a mente che il passato è la nostra memoria per il futuro. Ma giusto quella.
I giorni dei pionieri della mountain bike erano quelli dei freni a pattino che si consumavano in tempo zero in condizioni umide, delle gomme dalla mescola dura come la plastica dei paraurti, dei caschi a scodella che si rompevano solo a guardarli, e dei completini in lycra dalle improponibili tinte fluo.
Stiamo decisamente meglio ora, in questa epoca di sovra abbondanza, anzichenò.