“Berlino è senza ombra di dubbio una delle città che amo di più in Europa. Nel suo saper essere equilibrata nei contrasti, ritrovo molto del mio carattere.”
Di Carlotta Montanera – @runningcharlotte – foto: Sportograf Digital Solutions GmbH e Montanera
Berlino è come l’esemplificazione urbanistica della mia mente: mentre osservi il neoclassicismo del Pergamon Museum, sullo sfondo rimani abbagliato dai riflessi del sole sulla costruzione sferica della torre della televisione. Dopo avere attraversato un modernissimo ponte, capita che giri l’angolo e ti ritrovi in un cortile art déco ridondante di murales. Un esempio su tutti, Charlottenburg, il quartiere di cui porto il nome, è un’isola modernissima sulla quale sfilano i marchi del lusso uno dopo l’altro: vetrine ordinate e illuminate una via l’altra. Questo finché non cadi letteralmente dentro alla cattedrale ottocentesca di Kaiser-Wilhelm-Gedächtniskirche, una chimera architettonica residuo dei bombardamenti dell’ultima guerra. Ogni volta che torno in questa città respiro la stessa emozione della prima volta, ventidue anni fa da universitaria, quando mi lasciai rapire da ogni suono di musica tecno che animava i cortili, da ogni colore che rendeva vivi i muri. Il contrasto, ancora ben visibile, tra est e ovest di Berlino accende la miccia del mio entusiasmo, oggi come ieri.
Anche la maratona è un contrasto
Velocissima, affollatissima, famosissima. Ma non bellissima, almeno secondo me. Sento già il coro di chi non è d’accordo, ma forse è che da Berlino mi aspetto tanto, mi aspetto fascino e carisma, mentre la maratona fila via veloce, un lampo che lascia pochi ricordi nel suo racconto. La maratona compie un grande giro abbracciando la città, mostrandone strade e quartieri spesso ai margini e comunque molto veri e per questo apprezzabili. Ma non carichi di bellezza come il mio romanticismo richiede. Dopodiché è la seconda volta che corro 42 km su queste strade e lo farei ancora, quindi è sempre tutto relativo.
Oltre la maratona…
Questo, però, non vuole essere il racconto di una maratona, ma di come la maratona possa essere solo il punto centrale della nostra storia, perché il “vissero felici e contenti” è fatto di tutto ciò che le gira intorno. Quando ognuno di noi fa quel famigerato “click” sul sito di una grande 42k, parte il racconto della nostra esperienza. Se parliamo di una major dobbiamo fare un salto indietro nel tempo di diversi mesi, perché i pettorali finiscono subito e in ogni caso bisogna riuscire a prenderli, fatto assolutamente non scontato. Nel caso di Berlino poi, c’è anche l’opzione per i maratoneti “veloci” e cioè il pettorale c’è quasi sicuramente, ma devi essere fast, quindi potrebbe anche darsi che la storia cominci ancora prima, con una maratona in cui si deve conquistare il tempo di accredito. Fatto sta che se quel click sortisce l’effetto desiderato, se la roulette gira e sceglie proprio noi, se abbiamo lavorato bene e abbiamo il nostro tempo di accredito, allora la macchina organizzativa parte, possiamo liberare il sogno: che Maratona sia!
Partiamo dal principio
Quando la conferma di Berlino è arrivata, ho iniziato dai voli: sarebbe stato il primo viaggio aereo per mio figlio, l’orario per un bambino è importante, e i bagagli anche: tutto deve filare liscio, soprattutto se la causa di quel viaggio sei tu. Organizzi il tutto sapendo che hai uno zaino pesante da portare: la responsabilità della serenità di chi ti accompagna. Quindi volo comodo, con scali comodi, e poi hotel con stanza ampia, ben servito dai mezzi, niente esperimenti. Io nella mia vita precedente – la sento proprio così, senza ironie – ho sempre viaggiato “facile”, in stanze in affitto, prenotando con poco margine, bagagli risicati e cuore leggero, soprattutto per le maratone. Oggi no, oggi nella mia testa c’è un’agenzia di viaggi specializzata in prima infanzia. Un carico mentale che non smaltisci con la dieta.
Berlino, ci siamo
Per cui a Berlino siamo arrivati in orario, prenotando tutto con riguardo, scegliendo i ristoranti sulla mappa già prima di partire. Posteggio in aeroporto, mezzi pubblici studiati. Una mappa mentale lunga ben più di 42 km. Anche gli ingressi ai musei – scelti per rendere la vacanza un ricordo nella mente di un treenne – presi con anticipo. Berlino è una città perfetta per i bambini. I mezzi pubblici sono gratuiti per loro, la metropolitana ha l’ascensore (dettaglio non scontato vista l’esperienza di Parigi, dove alla fine più che le gambe avevamo le schiene a pezzi a forza di scale con passeggino in braccio) e i musei hanno l’ingresso famiglie, che significa che se fossimo stati due adulti da soli avremmo pagato di più che due adulti con figli. Anche recuperare il pettorale è stato più semplice avendo un passeggino: ingresso riservato e tutti i dovuti riguardi per una mamma che corre.
Pettorale preso
Dopo aver velocemente sbrigato le pratiche “pettorale”, con la mia T-shirt finisher acquistata a parte per avere un ricordo della gara, abbiamo finalmente dato il via alla vacanza. Si pensa sempre che il giorno prima della maratona vada dedicato al riposo, ce lo ripromettiamo tutti. E invece la mattina di sabato l’abbiamo passata al museo di scienze naturali, perché a Berlino è conservato il più grande scheletro di dinosauro esistente e – come da prassi – i dinosauri popolano le fantasie dei bambini. Il mio carbo load è stato vedere la gioia negli occhi di Matteo al cospetto del gigantesco Brachiosauro ricostruito nella sala del museo. Quel sorriso è stato ciò che ho portato con me alla start line insieme con le altre emozioni a cui sono più abituata.
La mattina della gara
La mattina della gara era dipinta di colori non troppo vivaci, lo ammetto. Sono partita sapendo che non era tutto perfetto fisicamente, ma con l’animo sereno, con quella sensazione di aver fatto i compiti a dovere. Già dal terzo chilometro la gamba sinistra ha manifestato disappunto, ma onestamente ho scelto di correre senza troppi pensieri e mi sono liberata anche di quello. Ho semplicemente tirato remi e orgoglio in barca e preso quello che veniva. Sapendo che durante la gara i miei due uomini erano a visitare il famoso Zoo di Berlino, pregustavo il racconto che me ne avrebbe fatto il mio piccolo. Ho corso liberandomi dei numeri dell’orologio, ho corso ricercando la connessione tra mente e corpo, la sincronia. Solo negli ultimi chilometri mi sono effettivamente resa conto che potevo riuscire a fare il mio personal best e ho dato le ultime energie alla ricerca di quell’agognato 2 iniziale nel crono. Ho stoppato il Garmin a 2h59’59’’ piena di fatica, per scoprire dopo che il tempo ufficiale segnava 3h00’00’’, un crono che nemmeno se ci avessi provato sarei riuscita a fare con tanta precisione.
3:00:00, è fatta!
Mi sono fatta mettere la medaglia al collo sorridendo, poi sono crollata sul grande prato del Reichstag, senza prendere nessun ristoro oltre all’acqua. Ho telefonato alla famiglia: l’animale preferito di Matteo è diventato il giaguaro, mi ha detto Massimo. Lo zoo era stata un’esperienza emozionante, forse più della mia maratona. Mi sono lentamente rialzata, cambiata e, zoppicando leggermente, li ho raggiunti. “Mamma hai vinto?”. “Sì, amore, mamma è arrivata, le hanno dato una medaglia e ora è il momento di festeggiare tutti insieme”.